Politica
May 29 2024
Proiezioni incoraggianti sulla prossima tornata elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo, ma l’astensionismo rimane pur sempre la mina vagante di ogni appuntamento elettorale. Materia per palati sopraffini e, al contempo, argomento di stressante discussione pubblica, capace di appassionare come una scommessa da banco o di contribuire -addirittura- ad allontanare ancor di più i fedelissimi del voto.
Per il politologo Roberto D’Alimonte, tra i massimi studiosi internazionali di flussi elettorali, «la partecipazione elettorale è un fenomeno per la cui spiegazione bisogna ricorrere a una serie di fattori, ora demografici, ora sociologici ora più spiccatamente politici».
Croce e delizia numerica costante di ogni tornata elettorale e, al contempo, argomento politologico principe di ogni consultazione, da quella sotto il campanile paesano a quella, appunto, per l’elezione dei membri del Palamento europeo, il dibattito su astensionismo e partecipazione occupa -da decenni- l’agenda politologica internazionale con gran contorno di sociologi, giuristi, economisti e storici, tutti chiamati ad esprimersi in condizioni di certezze assolutamente precarie. Un dato è cristallizzato, come ricorda Francesco Raniolo nel suo recentissimo La partecipazione politica, Fare, pensare, essere (Il Mulino, 2024), ovvero che tale istituto sia stato sottoposto, in questi anni, ad “un susseguirsi impressionante di shock esogeni ed eventi drammatici: la Grande Recessione del 2008, i picchi delle ondate migratorie del 2015 e del 2016, la crisi dell’Euro del 2016, l’irrompere dell’inaspettato in politica con l’elezione di Trump a presidente degli Stati Uniti e la Brexit nel Regno Unito nel 2016, e poi, a fine 2019, la pandemia da Covid-19, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio del 2023 e, da qualche mese, la nuova e terribile pagina del conflitto tra Israele e Palestina”
Professor D’Alimonte, cosa si può dire oggi sulla partecipazione al voto alle prossime Europe?
«In un recente sondaggio realizzato dalla Fondazione Bertelsmann intervistando 13.000 elettori in tutti i paesi della Unione, l’affluenza alle urne viene stimata intorno al 60%. Questo vorrebbe dire un incremento di quasi dieci punti percentuali rispetto alle elezioni del 2019, quando andò a votare il 51% degli aventi diritto. Se fosse così, sarebbe -a mio avviso- un risultato clamoroso, ma confesso di avere qualche dubbio. E’ vero però che l’affluenza è salita di ben otto punti percentuali tra il 2014 e il 2019 passando dal 42,6 % al 50,6 %, invertendo un trend discendente che durava dal 1979. I sondaggi di oggi dicono che la crescita dovrebbe continuare anche in questa tornata elettorale, e questo è un fatto molto positivo».
Restano differenze molto ampie in fatto di affluenza tra i paesi della Unione.
«E’ così. Lasciando da parte paesi come il Belgio e il Lussemburgo dove il voto è obbligatorio, il tasso di partecipazione nelle precedenti elezioni è variato dal 72,7% di Malta al 22,7% della Slovacchia. Anche in queste elezioni è certo che ci saranno differenze molto ampie, ma sarà interessante vedere se l’affluenza crescerà, e di quanto, nei paesi dove tradizionalmente si è sempre votato di meno, molti dei quali dell’Europa Orientale».
Lei ha parlato di inversione di tendenza a proposito dell’astensionismo. Come si spiega?
«I risultati dell’indagine Eurobarometro realizzata dopo le elezioni del 2019 mostrano che l'aumento dell'affluenza alle urne è stato determinato principalmente dalle giovani generazioni in tutta l'UE: in particolare i giovani cittadini sotto i 25 anni (+14 punti percentuali sul 2014) e i 25-39enni (+12 punti percentuali sul 2014) sono andati al voto in numero maggiore rispetto al passato».
Quindi saranno i giovani a trainare la partecipazione?
«Questo dicono i sondaggi, ma la spiegazione va ampliata. Negli ultimi anni sempre più cittadini Europei hanno scoperto l’Unione, intendendo dire che è cresciuta la consapevolezza che l’Unione conta. Da questo punto di vista la moneta unica ha avuto un ruolo importante, ma la stessa cosa si può dire della pandemia e più di recente della guerra in Ucraina. Naturalmente questa maggiore consapevolezza non si traduce automaticamente in un atteggiamento positivo. Molti europei continuano a essere molto critici nei confronti della Unione, e alle prossime elezioni vedremo quasi certamente una crescita dei partiti sovranisti. La maggiore attenzione a quanto accade in Europa tende a generare più interesse soprattutto tra i giovani più informati».
Nel sondaggio già citato della Fondazione Bertelsmann c’è un dato interessante…
«Riguarda l’attuale presidente della commissione Ursula von der Leyen: il 75% degli intervistati ha dichiarato di conoscerla. Nessun presidente della Commissione europea prima di lei ha avuto una tale visibilità. Anche questo fa capire come sia cresciuta l’attenzione nei confronti della Unione».
Spostando l’attenzione sull’Italia cosa ci si deve aspettare in fatto di affluenza?
«E’ difficile fare una previsione. Dal 1979 al 2019 è sempre stata superiore alla media UE, ma è calata costantemente. Siamo passati dall’ 85,6% del 1979 al 54,5% del 2019. Da noi tra le elezioni del 2014 e quelle del 2019 non c’è stata quella inversione di tendenza di cui abbiamo parlato in riferimento al dato complessivo della Unione. Il fatto che insieme alle Europee si voti anche per le amministrative in molti comuni dovrebbe favorire la partecipazione al voto. E’ plausibile che chi si reca alle urne per votare il sindaco o per esprimere una preferenza per un candidato consigliere finisca anche per votare liste e candidati che si presentano alle europee. Le amministrative quindi potrebbero avere un effetto di traino».
Nonostante il risultato del 2019 e le stime relative alle prossime elezioni, resta il fatto che la partecipazione al voto sia ancora bassa e questo vale sia per le elezioni europee che per quelle nazionali. Perché?
«E’ un fenomeno per la cui spiegazione bisogna ricorrere a una serie di fattori: demografici, sociologici e politici. L’invecchiamento della popolazione è uno di questi. Secondo me le cause più influenti sono la debolezza dei partiti e la disaffezione verso le classi dirigenti tradizionali: una volta i partiti erano agenti di socializzazione alla politica e di mobilitazione. Oggi hanno perso questa funzione, sono stati sostituiti dai social. Ma la politica sui social è una politica labile, soggetta agli umori del momento e ai richiami del populismo».
Ne deriva che partecipazione elettorale e astensionismo siano diventati un fenomeno intermittente.
«Una quota non irrilevante di elettori entra e esce dal mercato elettorale a seconda delle circostanze delle singole consultazioni. Ma il fattore forse più esplicativo è la disaffezione: le democrazie occidentali sono state investite negli ultimi venti anni da due fenomeni che hanno prodotto effetti politici dirompenti, la rivoluzione tecnologica e la globalizzazione. Le classi dirigenti tradizionali non sono state capaci di dare una risposta ai problemi prodotti da questa rivoluzione. Da qui il distacco, la protesta e spesso la rabbia».
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Roberto D’Alimonte,Molisano di Guglionesi (Cb), classe 1947, laureatosi in Scienze politiche alla Cesare Alfieri di Firenze con Giovanni Sartori e specializzatosi negli Usa ad Harvard e a Berkeley, ha insegnato dal 1974 al 2009 nell’ateneo fiorentino prima di approdare alla Luiss di Roma di cui è stato, sino al pensionamento, direttore del Dipartimento di Scienze politiche. Già docente nei prestigiosi atenei statunitensi di Stanford e Yale, ha fondato e diretto il Centro italiano per gli studi elettorali ed attualmente è titolare, presso l’ateneo della Confindustria, dell’insegnamento di Sistema politico italiano, settore di studio in cui concentra la pluridecennale esperienza maturata in tema di sistemi elettorali. Da ultimo, con lo storico Giuseppe Mammarella, ha pubblicato L’Italia della svolta. 2011-2021 (Il Mulino. 2022).