Chi è Danai Gurira: intervista alla guerriera di Black Panther bella e tosta
Quando si era mai vista una star dei film d'azione, che è anche un'intellettuale? Adesso c'è: Danai Jekesai Gurira, figlia di una bibliotecaria e di un professore universitario nati in Zimbabwe, laurea in psicologia, master in Belle arti alla Università di New York; come commediografa è stata nominatata nei più importanti premi teatrali.
Colta, impegnatissima, instancabile attivista, è diventata un mito col serial tv The walking dead, interpretando Michonne, che armata di una micidiale katana da samurai è una spietata cacciatrice di zombie in un mondo postapocalittico. Ora, in Black Panther, tratto dai fumetti Marvel e da poco sugli schermi, è un'altra guerriera, Okeye, generale delle Dora Milaje, amazzoni, guardie del corpo del re di Wakanda, regno africano di finzione, mai stato colonizzato, chiuso al mondo che lo crede poverissimo mentre è il Paese avanti 100 anni rispetto agli altri, grazie alla sofisticatissima tecnologia derivata dal vibranio, un metallo tratto da un meteorite caduto sulla Terra migliaia di anni fa.
Le piacerebbe vivere a Wakanda?
"Mi sento assolutamente wakandiana nell'anima. È una grande affascinante utopia, un Paese futuristico che però non ha rinunciato a storia, cultura e radici".
C'è anche la totale parità dei sessi. Non ci sarebbe bisogno delle arti marziali per evitare le molestie di cui oggi si parla tanto.
"È quello che mi è piaciuto del progetto e dei personaggi. Di solito si dice "cinecomics" in senso dispregiativo, ma Black panther mette in scena un intero mondo, che non sfigura accanto ai classici della letteratura, a cominciare da quelli di William Shakespeare. È assolutamente epico.
Lei è stata definita "la donna che visse due volte", perché prima ha fatto la commediografa, poi l'attrice. Un'evoluzione naturale o idee poco chiare?
"Ho sempre voluto fare l'attrice, ma se mi sono messa a scrivere è stato perché c'erano pochi ruoli in cui riuscivo a riconoscermi. Volevo fare qualcosa che influisse sui cambiamenti sociali, e aiutasse la crescita delle persone. Sono cresciuta in un mondo di accademici, ma ho sempre fatto anche molto sport. Per cui credo di aver da subito sposato il concetto di pensiero e di azione.
Il 14 febbraio ha compiuto 40 anni: con che umore?
"Buono. Devo solo capire cosa significa questa età. A Hollywood hanno una maniera strana di contare gli anni, soprattutto quelli delle donne, ma credo che stia a noi far cambiare i pregiudizi".
Qualche sogno nel cassetto?
"Continuare la mia carriera di storytelling. Per rispondere con i fatti a una delle più stupide domande che ho ricevuto: 'Perché scrive sempre di donne africane?'. L'Africa è un posto enorme, ci abitano un miliardo e 200 milioni di persone: ci sono ancora una quantità di storie da raccontare. Prendiamo alcuni dei miei autori occidentali preferiti, Cechov, Molière, Ibsen, Shaw: non scrivevano sempre di quello che conoscevano meglio, cioè dei loro Paesi?".
Quando ha sentito il presidente Donald Trump definire "cessi" alcune nazioni, ha pensato al paradosso di Wakanda, ritenuto un Paese poverissimo mentre si rivela il più avanzato del mondo?
"Ogni volta che torno in Africa, e ci sono stata appena un mese fa, mi accorgo dell'aumento di risorse, capacità, abilità, potenzialità. Non posso avere niente a che fare con chi non si informa".
È stato un problema rasarsi completamente la testa?
"Il regista Ryan Coogler mi aveva spiegato le sue intenzioni ed è stato così premuroso da avvertirmi 24 ore prima del giorno fatidico. Sono stata la prima a farlo, e poi ho assistito all'arrivo delle nuove Dora Milaje e al loro 'sacrificio'. È stato un rito che ci ha unito ancora di più".
In Black Panther ha ritrovato Lupita Nyong'o, che aveva interpretato a Broadway il suo dramma Eclipsed.
"La considero la mia anima gemella, la mia sorella acquisita".
Articolo pubblicato nel n° 9 di Panorama in edicola dal 15/2/2018 con il titolo "Nel mio paese i molestatori non sopravviverebbero"
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