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September 05 2016
Re per due giorni della sua Milano, dove 10 anni fa ha esordito in Serie A e da dove è partita la sua rincorsa verso un sogno chiamato Nba. Danilo Gallinari arriva in piazza Duomo come ospite d'onore dell’Nba Zone, evento itinerante che porta lo spettacolo della pallacanestro d’Oltreceano nel cuore delle città mondiali, e l’accoglienza è quella che si riserva alle grandi star: la discesa dal van con i vetri oscurati scatena l'entusiasmo dei tifosi accalcati intorno alla transenne, che seguono ogni movimento del loro idolo il quale, dopo un paio di tiri a canestro, prende posto al banco degli autografi da cui parte una fila lunga almeno 50 metri.
‘Perché Bargnani è forte, Belinelli è super, ma Gallinari è il migliore’ dice senza troppi giri di parole un tifoso in maglia Nuggets. E fa una certa impressione vedere come un ragazzo (oggi 28enne) nato e cresciuto in un paesino vicino a Lodi, che ha fatto le giovanili in una società di provincia – squadra fortissima la Casalpusterlengo dell’annata ’88, ma squadra giovanile di una società allora emergente nel panorama cestistico italiano -, abbia saputo conquistare con il suo gioco e la sua personalità prima l'Italia e poi l'America del basket diventando di fatto il cestista italiano più riconosciuto e riconoscibile a livello planetario.
Insomma entrare nel cuore dei tifosi è il sogno di tutti gli sportivi, ma riuscirci è un’altra cosa. E fa un certo effetto, vero Gallo?
“Onestamente mi era difficile immaginare un’accoglienza del genere. Evidentemente in questi anni qualcosa di buono sono riuscito a farlo.. (ride, nda). Nonostante qualche delusione di troppo, soprattutto per i tifosi italiani..”.
Ti riferisci al Preolimpico?
“Sì, ancora non ci dormo la notte”.
Davvero, come hai dichiarato, c'erano squadre più forti dell’Italia?
“Una precisazione. Non volevo dire che tutte le squadre che abbiamo incontrato fossero superiori, men che meno quelle del Preolimpico. Ci mancherebbe pensare che la Tunisia fosse migliore di noi (ride, nda). Nei fatti, dobbiamo ammetterlo, ce ne sono 3-4 a livello europeo più forti, e tra queste c’è anche la Croazia. Lo dimostra quello che ha saputo fare alle Olimpiadi”.
Cosa ti ha impressionato del loro gioco?
“Mi hanno impressionato i singoli: Savic è un giocatore spaziale, che potenzialmente può diventare uno dei più forti al mondo nel suo ruolo. Per non parlare di Bogdanovic. Aveva avuto alcuni exploit importanti con Brooklyn, ma la sua costanza di rendimento al Preolimpico e alle Olimpiadi (24.2 punti di media a Torino, 25.3 a Rio, ndr) parlano di un realizzatore di primissimo livello, forse ancora non del tutto esploso con i Nets”.
E se ci fosse stata l’Italia a Rio?
“Beh, ammettere che ci siano squadre più forti di noi non vuol dire che non avremmo potuto giocarci le nostre chance. Le Olimpiadi hanno dimostrato che, Stati Uniti a parte, le differenze tra le squadre europee, o meglio Fiba, sono davvero poche. Chissà, avremmo anche avuto un mese in più per lavorare..”.
Ora dopo qualche altro impegno con gli sponsor tornerai a Denver. A proposito, quando lascerai a Milano?
“Riparto il 12 settembre, giusto in tempo per l'inizio del training camp”.
Hai già parlato con Mike Malone, il tuo coach ai Nuggets?
“Sì, ed era contento di poter finalmente avere una rosa di giocatori al completo. Ne abbiamo parlato a lungo e siamo entrambi d’accordo che buona parte del successo della nostra prossima stagione passerà dalla gestione degli infortuni che ci hanno condizionato davvero troppo lo scorso anno”.
Da quale dei tuoi compagni ti aspetti un salto di qualità?
“Me lo aspetto in generale dai giovani, ma soprattutto da E-man (Mudiay, il giovane playmaker congolese dei Denver Nuggets, nda). È maturato e migliorato anche tecnicamente. Sono convinto che il prossimo anno vedrete un giocatore diverso in campo, tra l'altro in un ruolo fondamentale per una squadra Nba”.
Parliamo degli altri azzurri Nba, o ex tali. Su Bargnani hai detto che il Baskonia è stata la scelta migliore per rilanciarsi. E per quanto riguarda Belinelli?
“Sono contento che il Beli sia uscito da un ambiente come quello di Sacramento che sicuramente non gli era favorevole. A Charlotte troverà una squadra e una franchigia in crescita che lo scorso anno ha fatto degli ottimi playoff e soprattutto che ha buone possibilità di tornarci in questa stagione”.
Prima di tornare al banco degli autografi, guarda il Gallinari di oggi rispetto a quello di dieci anni fa: in cosa pensi di essere cresciuto di più?
“Oddio! Dieci anni fa stavo per iniziare il mio primo anno in Serie A, con l’Olimpia.. Non ci credo, è passato così tanto tempo?! (Scuote la testa, nda). Vedo prima di tutto un giocatore maturato in quello che fa in campo e fuori. Mi sento cresciuto come uomo, anche perché non sono più ragazzino; soprattutto fisicamente, purtroppo!”.
Qual è secondo te il segreto di questa crescita?
“Una cosa di cui vado fiero è di essere sempre stato capace di rialzarmi. Molti vedono nella mia carriera, soprattutto in Nba, un percorso più lineare di quanto effettivamente sia stato. Ho dovuto lottare contro tante cose, in primis contro gli infortuni: quello alla schiena, nel mio anno da rookie, poi quello al ginocchio che mi ha tenuto fermo praticamente per un anno. È l’essermi rialzato che mi fa essere qui, oggi, a raccogliere l’abbraccio di Milano”.