Musica
April 12 2023
«C'è stato un momento nel 1973 in cui ho capito che non volevo essere intrappolato in questo personaggio di Ziggy per tutta la vita e c'erano altre cose che dovevo fare. Quindi, Aladdin Sane è stato quasi come un album di galleggiamento, ma stranamente, in retrospettiva, per me è un album di maggior successo di Ziggy». Parola di David Bowie, che definire semplicemente un cantante sarebbe riduttivo per il suo talento multiforme, che si è nutrito di arte figurativa, teatro, danza e letteratura, le cui canzoni erano il prodotto finale di un lungo processo creativo. Bowie è stato un alieno benevolo e imprevedibile, che si è fatto messaggero di un futuro in cui l’avanguardia, pur senza abdicare alle sue ambizioni culturali, poteva essere fruita da tutti attraverso ritmi e melodie irresistibili. Aladdin Sane, il suo sesto album in studio, compie oggi 50 anni (13 aprile 1973), ma è ancora un disco irresistibile e vibrante, che ha segnato non solo l’allontanamento dal suo fortunato alter-ego Ziggy Stardust, che gli ha dato fama e successo, ma anche il superamento del glam rock.
Il titolo dell’album si basa su un gioco di parole, "A Lad Insane", in italiano "un ragazzo pazzo". Un chiaro riferimento a suo fratello Terry, a cui era stata diagnosticata da poco una grave forma di schizofrenia, ma anche a lui stesso, sempre più schiavo della cocaina e dei ritmi di vita quasi insostenibili da rockstar. L’album, che ha debuttato in cima alle classifiche del Regno Unito e ha raggiunto per la prima volta la Top 20 negli Usa, è famoso per l’iconica copertina con la foto di Brian Duffy che ritrae il cantante a torso nudo, con gli occhi chiusi, i capelli rossi e il volto diviso in due da una saetta rossa e blu, con una lacrima che gli scivola lungo la spalla. Grazie alla produzione dello stesso Bowie insieme a Ken Scott e, soprattutto, al lungo tour attraverso gli Stati Uniti, l’album, rispetto al precedente The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars, si arricchisce di nuove sonorità attraverso fiati, cori e l’onnipresente piano jazzato di Mike Garson, che diventerà uno dei suoi musicisti più fidati. Grazie alla chitarra infuocata di Mick Ronson, mai così centrale in un disco, Bowie voleva sfidare i Rolling Stones sul loro stesso terreno non solo con la cover tiratissima di Let’s Spend the Night Together, ma con i chiari riferimenti a Mick Jagger in Drive-In Saturday e a Brown Sugar in Watch That Man.
L’ispirazione più grande per Aladdin Sane, però, sono stati gli stessi USA, visti, attraverso l’occhio di un inglese colto e disincantato, in tutta la loro grandezza e nelle loro infinite contraddizioni. Quasi ogni traccia era legata direttamente a una (o più) città americane: New York è protagonista di Watch That Man, Seattle-Phoenix di Drive-In Saturday, Detroit di Panic in Detroit, Los Angeles di Cracked Actor, New Orleans di Time e, ancora, Detroit e New York di The Jean Genie. In particolare, i paesaggi lunari del deserto dell'Arizona hanno ispirato la suggestiva ballata doo-wop Drive-In-Saturday, mentre il primo, travolgente singolo dell'album, The Jean Genie, è nato durante un viaggio da Cleveland a Memphis quando il chitarrista Mick Ronson ha creato un riff ispirato alla versione degli Yardbirds di I'm A Man di Bo Diddley, mentre Bowie, probabilmente ispirato dalla musa di Andy Warhol Cyrinda Fox, ha ideato il titolo del brano unendo il nome di Jean Genet con Jeanie Jeanie Jeanie di Eddie Cochran. Se Watch That Man e Cracked Actor erano ancora fortemente legate agli stilemi del glam rock, la title track Alladin Sane (di cui è memorabile la lunga coda strumentale) e Time sembravano quasi un ibrido tra gli Stones e il teatro-canzone di Kurt Weill.
L’influenza di Bo Diddley è evidente anche nell’inebriante inquietudine di Panic In Detroit, che mette in mostra le scintillanti doti chitarristiche di Mick Ronson, mentre la conclusiva Lady Grinning Soul è una struggente torch song fuori dal tempo, interpretata magnificamente da Bowie. Pochi mesi dopo l’uscita dell’album, Bowie annunciò drammaticamente la “morte” del personaggio di Ziggy Stardust alla fine di un travolgente concerto, gettando nello sconforto milioni di fan, innamorati dell’alieno dai fiammanti capelli rossi. Da lì a breve sarebbe arrivato The Thin White Duke (il Duca Bianco), ennesima trasformazione del geniale camaleonte del rock, con la leggendaria trilogia berlinese alla fine degli anni Settanta: ma questa è tutta un’altra storia.