Gilmour Circo Massimo
(Francesco Prandoni)
Musica

David Gilmour conquista il Circo Massimo guardando al futuro

Si contano sulle dita di una mano i chitarristi che qualsiasi appassionato di musica è in grado di riconoscere fin dalla prima nota. Uno di questi è certamente David Gilmour, la cui sei corde è il suono più riconoscibile della “nuova musica classica” dei Pink Floyd, una delle band più influenti e innovative della storia del rock, che nella Weltanschauung floydiana è inteso più come estasi che come stordimento edonista. «Ho sempre avuto l’ossessione di trovare suoni che avessero una resa tridimensionale -ha dichiarato Gilmour in un’intervista di qualche anno fa a Rolling Stone- Ho voluto sempre creare qualcosa che sembrasse distante un centinaio di chilometri». Ed è proprio il ghiaccio bollente della sua Stratocaster customizzata nera uno dei segreti della magia della musica dei Pink Floyd, un’avvincente epopea sonora e umana iniziata nel 1967, a cui il leggendario musicista inglese ha dedicato ieri sera, nel primo dei sei concerti-evento al Circo Massimo di Roma, ben 12 dei 22 brani presenti in scaletta ieri, con una netta prevalenza del periodo post-Waters (con cui i rapporti sono sempre più tesi, non solo per i diritti discografici, ma anche per divergenze politiche).

Per quanto riguarda i brani solisti, il focus maggiore dello show è naturalmente sulle canzoni del nuovo album Luck and Strange, uscito il 6 settembre e già ai vertici di numerose classifiche internazionali.Luck and Strange è un lavoro profondamente gilmouriano nei (tanti) pregi e nei (trascurabili) difetti, meno floydiano dei dischi precedenti e più proiettato al futuro grazie alla sapiente produzione di Charlie Andrew, che ha guidato il cantante/chitarrista in paesaggi sonori più moderni, anche se gli assoli spaziali e, al tempo stesso, profondamente terreni della sua sei corde di Gilmour hanno sempre un ruolo enfatico nell’economia dei brani. Alle 21 in punto al Circo Massimo si accende un’intensa luce azzurra, che mette in rilievo il palco essenziale dominato dall’iconico schermo circolare, un topos dei live griffati Pink Floyd, di cui Gilmour, un filo di barba bianca e l’immancabile t-shirt nera che nasconde bene le 78 primavere, è il più autorevole custode della memoria storica. Basta la prima nota dell’onirica 5 A.M., il brano di apertura dell’album Rattle That Lock del 2015, una pennellata impressionista su tela azzurra, per renderci conto di essere a pochi metri dal Monet della chitarra, accolto dal fragoroso applauso dai 13.000 spettatori del Circo Massimo (che accoglierà 78.000 fan nelle sei serate).

L’inconfondibile assolo lento della strumentale Black Cat introduce la title track del nuovo album Luck And Strange, un rock-blues su un tempo dispari fortemente floydiano con un pizzico di psichedelia, che riflette, nel bellissimo testo scritto dalla moglie Polly Samson, sul trascorrere del tempo e sull'ineluttabilità della morte, a cui non manca, però, una tensione verso la speranza e il futuro. Una canzone difficile da cantare, con note molto alte nella seconda parte, che mette un po’ in difficoltà le corde vocali ancora non pienamente riscaldate di Gilmour. Nell’album la canzone Luck and Strange, costruita a partire da una jam session del 2007, vede la partecipazione del compianto Rick Wright all’organo Hammond e al piano elettrico. Il primo brivido della serata arriva con Breathe (In The Air), dal capolavoro The Dark Side of The Moon, in cui i Pink Floyd avevano abbandonato allora i suoni spaziali per concentrarsi sulla dimensione terrena, sul respiro, sull’essenza stessa della nostra umanità.

E cosa c’è di più umano del continuo confronto/scontro con il tempo, il fulcro tematico dell’emozionante Time, una profonda riflessione sul trascorrere inesorabile del tempo e sulla sua inafferrabilità, introdotta dal celebre ticchettio di orologi. La gioiosa e solare Fat Old Sun, il brano più pop dell’album progressive Atom Heart Mother, contagia il pubblico del Circo Massimo con il suo groove serrato e con il suo finale esaltante. Si torna in un terreno più introspettivo con la strumentale Marooned, tratta dall’album The Division Bell del 1994, durante la quale il regista del concerto indugia sapientemente sulle mani rugose del chitarrista, magistrale nella capacità di prolungare le note, suonando solo quelle necessarie, come insegna la celebre lezione di Miles Davis. Uno dei momenti più coinvolgenti della prima parte dello show è sicuramente la monumentale Wish you were here, che fa scattare l’inevitabile sing along del Circo Massimo in un ideale abbraccio a Syd Barrett, che con la sua breve presenza e con la sua prolungata assenza, ha fornito costantemente spunti alla poetica dei Pink Floyd.

Il pubblico applaude a lungo e canta in coro «David! David!», che prende il microfono e ringrazia gli spettatori: «Grazie, siete troppo gentili. Volevo presentarvi la mia amabile band». Una band davvero straordinaria, formata da Adam Betts alla batteria, Guy Pratt al basso, Greg Phillinganes e Rob Gentry alle tastiere, Ben Worsley alla chitarra, Hattie e Charley Webb ai cori, Louise Marshall ai cori e al pianoforte, Romany Gilmour a voce e cori. E proprio la giovane figlia Romany, che suona anche l’arpa oltre a cantare, è la voce della suggestiva Between Two Points, cover di una canzone del 1999 del duo indie The Montgolfier Brothers scoperta da Gilmour ascoltando una playlist in streaming. Spetta all’intensa High Hopes, uno dei vertici emotivi di The Division Bell, il compito di chiudere il primo set, con dei grandi palloni bianchi (simili a quelli del video) che vengono lanciati agli spettatori del primo settore per farli giocare.

Dopo una ventina di minuti di pausa (il buon David ha pur sempre 78 anni), la seconda parte del concerto si apre con un’eccezionale versione di Sorrow, la traccia conclusiva di A Momentary Lapse of Reason del 1987, una canzone tesa e psichedelica, in cui Gilmour, dopo tanto fioretto, fa letteralmente ruggire la sua chitarra. Si torna nel presente con l’ammaliante The Piper’s Call, uno dei brani più affascinanti del nuovo album Luck and Strange, con una curiosa introduzione latineggiante a due chitarre, un andamento cadenzato e un assolo folgorante nel finale in crescendo. Le tematiche pacifiste, da sempre care a Gilmour, sono protagoniste dei brani A Great Day for Freedom e In Any Tongue, introdotta quest’ultima da un fischio “morriconiano” e accompagnata da un coinvolgente cartone animato sull’assurdità della guerra. «Che bellissima serata a Roma!», afferma soddisfatto Gilmour, prima di sedersi alla chitarra slide e di presentare le sue cantanti, che hanno il difficilissimo compito di non far rimpiangere la potente voce di Clare Torry nella grandiosa The Great Gig in the Sky, una delle canzoni più commoventi sul tema della morte, anche se nel 1990 è stata votata da una radio pubblica come “Miglior canzone con cui fare l’amore”. Gilmour suona la slide guitar anche nella più recente A boat lies waiting, selezionata dall’album Rattle That Lock ecaratterizzata da ariose armonizzazioni alla Crosby Stills & Nash (quest’ultimo, non a caso, ha registrato i cori nel disco nel 2015).

Le emozioni del concerto non sono circoscritta dalla nostalgia, ma promanano anche dal presente, incarnato dalle recenti Dark and Velvet Night e Scattered: la prima è una delle canzoni più sorprendenti e dark di Luck and Strange, che racconta una pericolosa “notte di alcol e di estasi”, la seconda, tipicamente floydiana a partire dal battito cardiaco registrato, è più malinconica e intimista, in cui Gilmour afferma che «il tempo è una marea che disobbedisce, e disobbedisce a me». C’è ancora tempo per il bis, e che bis: l’immancabile Comfortably Numb, resa ancora più suggestiva dai raggi laser verdi tanto cari ai Pink Floyd. La canzone, uno dei vertici assoluti di The Wall, racconta magnificamente l’intorpidimento di una vita attorcigliata su se stessa, fino a non percepirsi più come tale, non solo a parole, ma soprattutto nei due monumentali assoli di chitarra, tra i più emozionanti mai registrati nella storia del rock. Il concerto termina quasi a mezzanotte con una lunga e meritata standing ovation per Gilmour e per la sua straordinaria band. Mentre nella prima parte dello show il chitarrista aveva mostrato qualche crepa nella voce (Luck and Strange, Time), nella seconda parte è stato impeccabile vocalmente, mentre, per quanto riguarda gli assoli di chitarra, il livello è sempre stato stellare per tutte e due le ore (ma questa non è certo una novità). In una calda notte romana di inizio autunno, il Circo Massimo, edificato da Tarquinio Prisco nella valle tra il Palatino e l'Aventino, un antico circo romano dedicato alle corse di cavalli, ha incoronato come imperatore 3.0 un purosangue del rock come David Gilmour, un artista che non vive solo del ricordo e della celebrazione del suo glorioso passato con i Pink Floyd, ma che, come dimostra l’eccellente album solista Luck and Strange (di cui potrebbe arrivare presto un seguito), è già proiettato verso il futuro.

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