News
December 13 2023
«Purtroppo, per quanto sia crudo quanto sto dicendo, in questo mestiere capita che gli imputati si suicidino. La mortalità per suicidio nelle carceri è più alta che fuori dalle carceri. Detto questo lo so che è crudo quello che sto per dire, ma è la verità, la conseguenze dei delitti ricadono su quelli che li commettono non su coloro che li scoprono e li reprimono. Altrimenti il ragionamento porterebbe a dire: “allora non fate le indagini”. Prima di tutto, il fatto che uno decida di suicidarsi lo perdi come possibile fonte di informazione… Ma certo che c’è il dispiacere, la pietà umana c’è lo stesso, però bisogna tenere la barra del timone ferma…».
Piercamillo Davigo è uno dei magistrati protagonisti dell’epoca di Mani Pulite e non solo. Da anni è riferimento di un mondo culturale, politico giornalistico che imperversa sui mezzi di informazione a suon di sentenze di fuoco contro questo e quell’altro (meglio se in qualche maniera di destra). Le sue ospitate in tv non si contano più e non sono nemmeno calate dopo l’inchiesta che lo vede coinvolto e per cui è stato condannato in primo grado a un anno e tre mesi per «rivelazione del segreto di ufficio» in merito alla famosa vicenda dei verbali di Piero Amara sulla Loggia Ungheria. Un personaggio poco o molto amato proprio per il suo modo di fare: duro, irreprensibile, senza il minimo tentennamento o dubbio. Per alcuni un pregio, per altri un difetto.
Solo un uomo dotato di tanta sicurezza (o supponenza?) di se può arrivare a dire quanto raccontato ai microfoni di «Muschio Selvaggio» il podcast di Fedez. Alla domanda infatti sulle sue reazioni umane davanti al suicidio di un imputato l’ex magistrato ha risposto quello che vi abbiamo trascritto testualmente (e potete risentire qui, così da apprezzare il linguaggio del corpo ed il tono di voce che sono ancora più emblematiche delle frasi dette).
In sostanza Davigo dice che i suicidi capitano, fanno parte del gioco, soprattutto quando un essere umano si trova davanti alla giustizia. Insomma, chissenefrega delle vite umane spezzate, anzi, no. La cosa è ancora peggiore. Perché il suicidio è un danno, ma non per l’essere umano che arriva a togliersi la vita, bensì per il magistrato che «perde una fonte». Avete capito bene, un imputato, magari ancora non condannato, ancora in carcere in fase di indagine, che si suicida è un problema per il procuratore che si trova con una fonte in meno. Perché, il sottinteso di Davigo, è che siamo tutti colpevoli, frase in realtà sottintesa oggi ma dichiarata ai 4 venti alcuni anni fa: «Non esistono innocenti, esistono solo colpevoli non ancora scoperti».
Altro concetto raccapricciante è che non esisterebbero mai vie di mezzo nel lavoro di inchiesta: o linea dura, colpevolista, fino al suicidio o niente, tutti liberi. Non esiste un altro modo di fare indagini. Quante persone vengono messe ogni anno in carcere con il mero scopo di spaventarle per estorcere ogni tipo di informazione, comprese quelle false (perché un disperato, prima di suicidarsi, pur di tornare in libertà è pronto a dire ogni cosa, comprese le invenzioni…)? Centinaia. E sono mille ogni anno gli innocenti finiti dietro le sbarre. Innocenti, non colpevoli per i quali mancano le prove. Innocenti cui è stata rovinata la vita. Per non parlare poi del concetto di “riabilitazione” dei detenuti che in realtà sono solo delle fonti da spremere fino all’ultimo, dei colpevoli da in qualche maniera usare.
Si è parlato tanto nelle settimane passate della possibilità di sottoporre i magistrati a test psico attitudinali. Mi piacerebbe sapere da uno psichiatra o uno psicologo se un uomo che dice quello che ha detto Davigo possa fare il giudice, possa decidere della vita delle persone. In attesa di una risposta da cittadino resto semplicemente terrorizzato.