Economia
April 04 2018
"Quando le due principali economie mondiali iniziano un braccio di ferro, ci sarebbe da stupirsi se i mercati non ne risentissero". Così scrive nella consueta newsletter settimanale agli investitori Joe Amato, responsabile degli investimenti azionari di Neuberger Berman, fondo di investimento newyorkese ora indipendente e fino al 2008 controllato da Lehman Brothers, la banca travolta dalla crisi dei subprime e fallita nel settembre del 2008.
Il trader esperto si riferisce a quella che per ora sembra solo una "scaramuccia" e non una vera e propria guerra commerciale tra Usa e Cina. Le tensioni a livello economico sono riuscite comunque a spingere molti investitori a vendere azioni sulle principali Borse del mondo o comunque a trovare una "buona scusa" per portare a casa i guadagni. Ormai sembra più vicina la fine del bull market azionario (fase rialzista) che dura dal 2009. Colpa di Donald Trump che nell'ultimo mese sembra far di tutto per abbattere Wall Street, tra l'annuncio di dazi e i tweet contro Amazon.
L'8 marzo il presidente USA ha firmato due atti che impongono dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio da tutti i paesi del mondo e il 22 marzo ha annunciato ulteriori barriere commerciali contro la Cina per 60 miliardi di dollari in risposta ad alcune violazioni della proprietà intellettuale. Come hanno reagito i mercati? il giorno seguente, venerdì 23 marzo, Wall Street ha chiuso una delle settimane più nere da inizio anno, con l'indice S&P 500 scivolato in cinque sedute di quasi il 6%. In rosso anche le Borse di due importanti paesi esportatori, Germania e Giappone, con il DAX (il principale indice della Borsa di Francoforte) a -4% e il Topix (Borsa di Tokyo) a -6%.
Come si spiega questa reazione? "Nonostante le misure protezionistiche siano state un tema centrale della sua campagna elettorale presidenziale, i mercati finanziari finora avevano ampiamente ignorato l'argomento" spiegano gli esperti di Raiffeisen Capital Management, fondo di investimento della galassia del credito cooperativo austriaco. "Gran parte dell'opinione pubblica è rimasta sorpresa dal fatto che Trump voglia evidentemente davvero implementare la sua agenda elettorale. Una guerra commerciale globale sembra comunque improbabile, perché produrrebbe solo perdenti su tutti i fronti".
Ma non era finita. A fine marzo è arrivata la reazione della Cina, con l'inserimento di dazi su oltre 100 prodotti americani, per un ammontare di 3 miliardi di dollari di beni tassati. "Le categorie più rilevanti, come soia e aereomobili, non sono state toccate, ma in ogni caso la maggior parte delle misure ha riguardato il settore agricolo, un monito per l'amministrazione USA" fa notare Giuseppe Sersale, strategis di Anthilia Capital Partners. La reazione a Wall Street è stata comunque pessima: lunedì di Pasqua (2 aprile) gli indici principali della Borsa newyorkese hanno chiuso in forte ribasso, l'S&P 500 a -2,23%, il Nasdaq a -2,74% e il Dow Jones a -1,90%.
Perché le Borse reagiscono negativamente agli annunci di dazi? Per capirlo, Richard Flax, responsabile degli investimenti del robo-advisor Moneyfarm, fa il caso dei metalli industriali. "Negli Stati Uniti - spiega - l'impatto sarebbe probabilmente l’aumento del costi per alcuni segmenti dell’industria, principalmente quella automobilistica. L’aumento dei costi di produzione si tradurrebbe in inflazione, che si tradurrebbe a sua volta in una reazione delle banche centrali in un contesto, che è bene ricordare, vede la disoccupazione ai minimi e l’economia che cresce. Tutti questi passaggi, verrebbero anticipati dai mercati finanziari, che andrebbero ad aggiustare le proprie valutazioni di conseguenza".
Sarà dunque guerra commerciale per gli investitori? Per gli esperti di fondi e banche d'affari sembra che l'ondata di vendite delle ultime settimane sia destinata a concludersi: alla fine un qualche accordo commerciale senza dazi doganali o con dazi doganali più bassi si farà. È questa, ad esempio, l'opinione di Amundi, il maxi fondo di investimento della banca francese Crédit Agricole. "Gli USA - scrivono in una nota per gli investitori - hanno reso noto un elenco più dettagliato di domande che fanno apparire più realistici i colloqui commerciali. Sembra che anche la Cina abbia lavorato a una serie di aspetti". Staremo a vedere.