Economia
August 05 2019
Dovrebbero servire a stimolare Pechino affinché rispetti le promesse fatte all'Occidente, ma i dazi che l'Amministrazione Usa ha annunciato di voler istituire su ulteriori 300 miliardi di import cinese negli Stati Uniti preoccupano mercati e consumatori.
L'annuncio è arrivato al termine dell'ennesimo nulla di fatto con cui si è concluso un tour negoziale tra Washington e Pechino.
Non solo la Cina non ha mantenuto la promessa di tornare a comprare beni agricoli americani, ma non ha fornito nessuna garanzia in termini diriforme della proprietà intellettuale, trasferimenti forzati di tecnologia e servizi.
Il Presidente Usa, dunque, ha deciso di proporre un nuovo innalzamento sui prodotti d'importazione cinese.
E così dopo i dazi su 250 miliardi di import di beni industriali e componentistica dal primo settembre merce per ulteriori 300 miliardi subirà un rincaro del 10% e questa volta a essere tassati saranno beni a largo consumo: abbigliamento, giocattoli, smartphone ed elettronica.
Nello specifico, secondo la Consumer Technology Association, il maggior impatto dei nuovi dazi si avrà sul settore della tecnologia a largo consumo visto che riguarderanno 45 miliardi di dollari in cellulari, 39 miliardi in laptop e tablet, 5,4 miliardi in console di videogiochi.
L'85% dei fornitori di giocattoli in America, inoltre, produce in Cina e questo causerà forti rincari a tutto il settore, per non parlare di scarpe e abbigliamento che per il 70% arrivano dalla Cina.
A pagare il balzello, però, saranno le aziende importatrici quindi marchi europei e americani che tremano all'idea dell'arrivo dei nuovi dazi.
La preoccupazione delle imprese si traduce nei malumori dei mercati e dei listini borsistici che dal primo agosto (giorno dell'annuncio della nuova fase dell'escalation politico economica della war trade Cina-Usa) sono sotto pressione.
Al termine del primo semestre 2019 un terzo delle imprese Usa nella catena della distribuzione ha lamentato un calo del giro d'affari, ma la politica dell'amministrazione Trump sta iniziando a dare i suoi frutti visto che le importazioni Usa dalla Cina sono scese del 12% e l’export del 19%.
Si tratta di un volume d'affari di 271,04 miliardi di dollari che ha determinato il fatto che Pechino abbia perso il titolo di primo partner commerciale degli Stati Uniti superata dal Messico e dal Canada.
E Trump non teme le ripercussioni del suo pugno di ferro sull'economia globale visto che, nonostante i mercati traballanti e le borse in subbuglio, al termine di un vertice a Cincinnati è tornato sul tema dazi asserendo: "Finché non ci sarà un accordo tasseremo la Cina come non mai".
E se Pechino sostiene di non lasciarsi intimorire dalle minacce Usa i listini asiatici sono in ribasso e trascinano verso il segno meno anche gli europei e gli statunitensi. Lo yuan è ai minimi storici da 11 anni a questa parte sul dollaro e la moneta statunitense è salita sopra la soglia di 7 yuan.
La svalutazione dello yuan, in realtà, è una mossa decisa a tavolino dalla banca centrale cinese per far scendere i prezzi dei prodotti made in China e andare incontro alle esigenze delle imprese spaventate dai dazi Usa.
Mossa, però, che rischia di essere controproducente visto che la stragrande maggioranza delle imprese compra in dollari.
Il Presidente Usa, comunque, ha sottolineato di non aver chiuso la partita delle trattative con Pechino mostrando apertura diplomatica e politica nei confronti del Dragone.
La guerra dei dazi ha aperto una nuova fase del conflitto mettendo l'una contro l'altra le esigenze dell'Occidente e quelle della Cina che si trova davanti un osso più duro di quello che avrebbe pensato nella sua camminata solitaria verso il tentativo di conquistare il mondo.