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November 13 2013
Un articolo del nostro Codice di procedura penale (l’articolo 11) si occupa di quelle indagini in cui finisce di mezzo un magistrato, perché sospettato di aver commesso un reato o perché egli stesso è vittima di un reato. L’articolo in questione è chiaro e stabilisce che in entrambi i casi (che il magistrato sia indagato oppure «persona offesa») l’inchiesta debba essere trasferita a un altro ufficio giudiziario rispetto a quello dove lavora.
I motivi sono ovvi: per sgombrare il campo dai sospetti, innanzitutto, e cioè per evitare di pensare che fra colleghi dello stesso palazzo di giustizia si possano consumare vendette o si possa chiudere benevolmente un occhio. O che addirittura si possa condizionare il lavoro di un magistrato se questi, al corrente di un’indagine in cui è coinvolto, debba poi pronunciarsi sul lavoro degli stessi colleghi titolari dell’inchiesta nella quale compare. Con quale grado d’indipendenza e terzietà potrebbe farlo? Di più: con quale serenità?
A Napoli succede che il rinvio a giudizio nei confronti di Silvio Berlusconi e Valter Lavitola per l’affaire De Gregorio (la presunta compravendita durante il governo Prodi) sia stato deciso dal giudice Amelia Primavera su richiesta della Procura di Napoli. Lo stesso giudice compare in una complessa inchiesta degli stessi pubblici ministeri di Napoli che va avanti da oltre due anni senza ancora essere approdata a una conclusione. Si tratta dell’indagine sulla fuga di notizie relativa all’arresto, fra gli altri, di Valter Lavitola dell’estate 2011 che vede indagati un cronista e il direttore di Panorama (per avere raccontato dell’esistenzadi un ordine di custodia cautelare nei confronti di Lavitola), con un avvocato e un cancelliere collaboratore del giudice Primavera. Inchiesta complessa perché, a oggi, non è ancora stato chiesto il processo per nessuno degli indagati e perché la procura si è spinta a ipotizzare (oltre alla rivelazione di notizie coperte dal segreto) un assai fantasioso reato di corruzione, mettendo per questo motivo sotto controllo tra gli altri ancora pochi mesi fa decine di telefoni di giornalisti di Panorama (alcuni neppure indagati), sebbene gli elementi indiziari fossero stati giudicati insussistenti da un giudice. Ma in Italia è inutile sorprendersi. Succede anche questo – per giunta impunemente – nel silenzio di chi dovrebbe vigilare (procuratore della Repubblica e Consiglio superiore della magistratura in testa).
Torniamo alla dottoressa Primavera. Per ben tre volte il gip è stato interrogato dai suoi colleghi Francesco Greco, Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock. La prima volta è l’11 gennaio 2012 per un’ora e mezzo, davanti al solo procuratore aggiunto Greco. Il quale, prima di iniziare l’interrogatorio, avverte la collega che «nel caso renda dichiarazioni false ovvero taccia, in tutto o in parte, ciò che sa» può incorrere in un processo che prevede la condanna fino a 4 anni di carcere. Poi iniziano le domande sull’inchiesta, sui suoi spostamenti, sulle ferie, sui rapporti con alcuni degli indagati. Dopo quasi un anno e mezzo, il 29 maggio 2013, il giudice Primavera è di nuovo davanti ai pm Greco e Woodcock. Solita premessa e nuove domande su come venne gestito il file con la richiesta di custodia cautelare nell’estate del 2011. Nel frattempo la procura ha già fatto eseguire da un esperto ben tre consulenze informatiche sul computer dell’ufficio del giudice. La consulenza, consegnata il 16 maggio 2013, doveva far luce su «tutti gli accessi effettuati sul personal computer in uso alla dr.ssa Primavera» e «quali operazioni siano state effettuate e su quali file».
Ed è proprio sulla base dei risultati di questa perizia che i pm chiedono lumi alla collega. Dice Primavera: «Mi chiedete se io abbia estrapolato dal mio computer di ufficio il file informatico avente a oggetto la richiesta di misura cautelare nei confronti di Lavitola e altri e trasferito il medesimo file su una pendrive (una memoria esterna dove si copiano file dal computer, ndr) in un’unica soluzione ovvero se io abbia compiuto tale operazione più volte». Poi risponde: «L’ho fatta un’unica volta». Ma i pm vogliono sapere quale modello di pen-drive la giudice usava nel 2011. Lei ha un dubbio ma, aggiunge, per fare chiarezza si può risalire al modello con un accertamento sul pc di casa e conclude: «Mi riservo di mettervi a disposizione il mio computer di casa».
Il gip Primavera torna così davanti ai pm Piscitelli e Woodcock meno di due settimane dopo, l’11 giugno scorso. Dieci giorni prima il grande orecchio della procura ha captato la voce del giudice in una conversazione con il suo cancelliere Marco Reale, uno degli indagati per corruzione e rivelazione di segreto d’ufficio. È una conversazione in cui il tono è confidenziale, rivela un rapporto amicale (Reale la chiama per nome o semplicemente «Ame’», nella trascrizione c’è tra l’altro un omissis che cela frasi tra i due relative a problemi di salute di un familiare, si parla anche di comunioni e battesimi). Reale dice di volersi dimettere perché non si sente più tutelato (ripete queste parole tre volte). La giudice replica: «Senti Marco, comunque no, non te ne devi andare perché noi dobbiamo andare a testa alta, i presidenti ti sono vicino». Primavera, dopo aver detto: «Io mi sono fatta un’idea però te la devo dire da vicino», aggiunge una frase sulla quale ci asteniamo dall’avanzare commenti, ma che imporrebbe una riflessione su vari temi legati all’amministrazione della giustizia. Dice la dottoressa Primavera: «Io comunque ci ho tenuto oggi a dire a Piscitelli (cioè il pubblico ministero Vincenzo Piscitelli, ndr) perché quando mi ha detto: “Quello (Reale, ndr) si è avvalso” (cioè non ha risposto all’interrogatorio, ndr), ho detto: “Senti Enzo, lui si è avvalso della facoltà di non rispondere perché sta molto provato da questa cosa, ti devo dire sta molto colpito non era proprio in grado di reggere un interrogatorio però lo sai che da parte di Marco Reale come da parte mia e di tutti c’è la massima collaborazione perché noi siamo assolutamente puliti quindi il nostro desiderio è proprio di venire a capo di questa vicenda. (...)”. Ho detto poi: “Sai, non era neanche il caso di fare questo avviso (parola incomprensibile) come facciamo per i detenuti, probabilmente una forma più carina ci poteva essere, ma probabilmente il tuo collega Curcio (il procuratore aggiunto Francesco Curcio, ndr) sappiamo che lavora così perché pure a me fece la convocazione e tutto”».
Bene: l’11 giugno la gip Primavera è seduta proprio davanti al collega pubblico ministero Vincenzo Piscitelli, da lei incontrato 10 giorni prima e al quale ha parlato dell’inchiesta che vede coinvolto il «suo» cancelliere con i toni che avete appena letto. Ma questo argomento non viene neppure sfiorato, né le viene chiesto alcunché sui «presidenti» che sarebbero vicini a Reale, né sull’«idea» che si era fatta su tutta la storia. Nel verbale si parla ancora del computer che la gip avrebbe dovuto consegnare. Primavera, però, non può farlo e racconta: «Avendo io recentemente traslocato (era stata interrogata 13 giorni prima, ndr) è probabile che tale computer mio personale sia ancora imballato; in ogni caso non l’ho reperito». La gip ha invece trovato la pen-drive dove salvò il file con la richiesta di custodia cautelare e che viene sottoposta a una nuova (la quarta) consulenza informatica che la riguarda. Del computer non si parla più nelle carte a disposizione di Panorama.
La procura non ha ancora terminato le inchieste avviate nell’agosto 2011 di cui sono titolari i pm Piscitelli e Woodcock nelle quali è indagato, fra gli altri, per corruzione e rivelazione di segreti d’ufficio un cancelliere della gip Primavera e che hanno portato la procura a sentire lei stessa per tre volte come teste e disporre quattro perizie informatiche. Il 23 ottobre Primavera ha invece accolto il patteggiamento di De Gregorio a 20 mesi e rinviato a giudizio per corruzione Lavitola e Berlusconi su richiesta dei pm Piscitelli e Woodcock, titolari dell’inchiesta ancora senza esito in cui il «suo» cancelliere è indagato per corruzione e rivelazione di segreto. Tutto normale?