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ANSA/RENATO INGENITO
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Delitto di Avetrana: "C'è un'altra verità"

E’ sempre un sollievo quando «i colpevoli sono stati assicurati alla giustizia». Perché i fatti di sangue, specie se gravi o gravissimi, come l’omicidio della quindicenne Sarah Scazzi, aprono anche una ferita nella comunità nella quale avvengono. Ma nonostante tre gradi di giudizio, due ergastoli definitivi (a Sabrina e Cosima Misseri) e una condanna a otto anni per occultamento di cadavere (a Michele Misseri), sul giallo di Avetrana non tutti sono convinti che vada messa la parola «fine». E una lunga serie di incongruenze e piste alternative, lasciate cadere forse un po’ troppo in fretta, ma raccontate da Panorama nelle precedenti quattro puntate di questa controinchiesta, insieme alla sistematica messa in fuori gioco di avvocati e testimoni con verità difformi rispetto a quelle della Procura di Taranto, a nove anni dalla scomparsa di Sarah impediscono di sentirsi rassicurati. Come racconta Emilia Velletri, il primo legale di Sabrina Misseri, condannata con la madre per la morte della cugina. «Non solo non ci dormo la notte perché sono sicura che ci sono due innocenti in carcere, ma sono convinta che gli assassini di Sarah siano in giro, siano tra noi», spiega tutto d’un fiato l’avvocata tarantina, 40 anni, tre figli e una vita che da allora non è stata più la stessa.

Difendeva Sabrina con il marito Vito Russo junior, che ha poi subito una condanna a un anno e mezzo per favoreggiamento, ma che è stato anche assolto dalla Cassazione insieme all’ex moglie dall’accusa di aver «distrutto» il verbale di un’indagine difensiva. Intanto, però, quel matrimonio è finito in pezzi, mentre la Velletri veniva assolta con formula piena e usciva definitivamente dal tritacarne personale e professionale nel settembre del 2015, quando il Procuratore generale di Taranto rinunciava a fare appello per l’evidente inconsistenza dell’ipotesi accusatoria di depistaggio e la Corte d’appello l’ha assolta definitivamente, insieme ad altri due colleghi.

Velletri ha per questo dovuto affrontare anche un procedimento disciplinare dell’ordine degli avvocati di Taranto, dal quale è uscita candida come un giglio, ma intanto ha dovuto aprire uno studio anche a Roma e rifarsi una vita. Con la sensazione, probabilmente, di aver attraversato la strada sbagliata nel momento sbagliato. Com’è successo anche a qualche investigatore, che probabilmente è stato creduto meno del tele-criminologo di turno. Perché Avetrana è stato anche questo, un impazzimento mediatico talmente fuori controllo, a partire da quell’agosto del 2010, da esemplificare alla perfezione il rischio che un’indagine possa deragliare in diretta televisiva, quando passa dal tribunale al bar dello sport.

«Tra le tante assurdità che mi hanno contestato in sede disciplinare, c’è quella che sarei andata troppo in televisione e avrei fatto una difesa di Sabrina mediatica» ricorda Velletri. «Ma io ci sono andata sei volte in quattro mesi, a fronte di una ventina di richieste di intervista al giorno». Eppure a Taranto, dove ha sempre fatto la penalista fin dalla laurea, lei ha la fama di quella che si studia tutte le carte una per una e approfondisce la parte di dottrina. E poi la Velletri, finché non è stata «sterilizzata» con accuse poi rivelatesi false, andava di continuo in carcere a parlare con la sua assistita, che all’epoca aveva solo 22 anni.

E forse sono state queste «troppe» ore con la futura ergastolana, accusata dal padre dopo mille giravolte, che hanno creato una qualche incomprensione, per non dire irritazione, con i pm Mariano Buccoliero e il procuratore capo Pietro Argentino, poi trasferitosi in una procura più defilata come quella di Matera. Nella fattispecie, la buccia di banana sulla quale doveva scivolare Emilia Velletri era un interrogatorio difensivo di Ivano Russo, l’amico-fidanzato di Sabrina, che sarebbe stato interrotto e cestinato al momento in cui avrebbe virato verso una «verità» sfavorevole alla ragazza. Nella sentenza di assoluzione della legale tarantina, il tribunale (con decisione poi confermata dalla Corte d’appello di Lecce) nel settembre del 2015 dichiara che «il fatto non sussiste» sia per lei sia per gli altri due penalisti. In una situazione del genere, la Velletri ha poi consigliato alla famiglia Misseri di rivolgersi a un fuoriclasse come il professor Franco Coppi. «Non lo conoscevo personalmente, ma quando ha letto i motivi del riesame di Sabrina si è molto complimentato e questa per me è stata, oltre che una grande emozione, una delle poche cose positive di tutto questo processo» ricorda Emilia Velletri.

L’ergastolo in Cassazione, però, è arrivato lo stesso nel 2017. Lo storico difensore di Giulio Andreotti, con una spiccata sensibilità per le inchieste «anomale», ovvero che danno da pensare sul corretto funzionamento della giustizia, ha poi dichiarato al Corriere della Sera di «non dormire la notte per la convinzione che ci siano due innocenti in carcere» e di aver addirittura pensato per qualche tempo di abbandonare la toga (4 dicembre 2017). «Io non sono Coppi, ma nel mio piccolo la penso alla stessa maniera. A Taranto abbiamo visto un film assurdo» aggiunge la Velletri. Più che un film, direttamente un horror della Giustizia con la «g» non troppo maiuscola. E allora, di tutte le anomalie raccontate in queste settimane, Velletri sottolinea con convinzione quella che riguarda le feste nel villino di Torre Colimena, a pochi chilometri da Avetrana: «Ancora adesso, sono molto colpita dalla mancanza di indagini su quelle feste dove almeno una volta è andata anche Sarah, poco prima di sparire; i carabinieri hanno trovato anche la droga e ancora oggi non sappiamo chi vi partecipava. Ma sappiamo con certezza che Sabrina non era tra le invitate».

Altro tema che «impressiona molto» l’avvocato Velletri è quello di tutte le piste che avrebbero portato lontano dalla famiglia Misseri, forse verso destinazioni più «eccellenti». Le ultime parole sono per Sabrina, Cosima e la sicurezza di chi sta fuori: «Abbiamo due innocenti in carcere e i colpevoli in giro». Al plurale, perché in effetti, in questa storia dove «l’oltre ragionevole dubbio» richiesto dal Codice penale per ogni sentenza di colpevolezza non sembra tanto raggiunto, molti elementi fanno pensare che Sarah sia finita in un girone di mostri. Con una giustizia che né assicura, né rassicura.

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