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December 19 2016
La famiglia di Alberto Stasi, condannato per l'omicidio di Chiara Poggi avvenuto a Garlasco il 13 agosto 2007, chiederà la riapertura del processo sulla base dei risultati di una nuova perizia, secondo la quale le tracce di dna rinvenute sotto le unghie della ragazza non sono di Stasi. Lo riporta oggi il Corriere della Sera, precisando che la madre di Stasi, Elisabetta Ligabò, ha fornito al giornale i risultati di nuove analisi condotte dalla difesa. In base alle nuove analisi, condotte da un genetista su incarico dello studio legale Giarda che si è affidato ad una società di investigazioni di Milano, quel dna dovrebbe essere di un giovane che conosceva Chiara Poggi. Alberto Stasi è detenuto nel carcere di Bollate da un anno. Oggi ha 38 anni, all'epoca dei fatti aveva 24 anni. Il 12 dicembre del 2015 la Cassazione ha confermato nei suoi confronti la condanna a 16 anni per omicidio, mettendo la parola fine a una vicenda processuale durata 14 anni, nel corso della quale Stasi è stato anche due volte assolto. Ora il caso potrebbe riaprirsi. "C'è una sentenza definitiva e per noi quella vale. Se la difesa di Stasi ha un nome, lo faccia pubblicamente, senza nascondersi dietro un dito". Ha detto Rita Preda, la madre di Chiara Poggi.
Questo l'articolo pubblicato il 12 dicembre 2015, dopo la sentenza di condanna di Alberto Stasi in Cassazione:
La Cassazione ha confermato la condanna a 16 anni per Alberto Stasi per l'omicidio di Chiara Poggi. Dunque si aprono per lui le porte del carcere di Bollate, alle porte di Milano, dove il giovane si è già costituito. Durante le indagini preliminari e nelle varie fasi di giudizio non è stato mai posto in custodia cautelare per cui dovrà scontare per intero la pena.
Si chiude così una vicenda durata otto anni.
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La quinta sezione penale della Cassazione ha rigettato entrambi i ricorsi, sia quello della difesa di Alberto Stasi che chiedeva l'assoluzione sia quello della procura generale di Milano che chiedeva un aumento di pena per l'aggravante di crudeltà.
Vigevano, 17 marzo 2009: Rita Poggi, madre di Chiara, esce dall'aula dove si è tenuta l'udienza preliminare di Alberto Stasi, (Credits: Daniel Dal Zennaro /ANSA)
Milano, 6 dicembre 2011. La lettura della sentenza di assoluzione per Alberto Stasi da parte dei giudici della Corte d'Assise d'Appello di Milano (Credits: ANSA /Daniel Dal Zennaro)
Milano, 6 dicembre 2011. La gioia di Alberto Stasi mentre abbraccia uno dei suoi avvocati, dopo la lettura della sentenza di assoluzione da parte dei giudici della Corte d'Assise d'Appello a Palazzo di Giustizia di Milano (Credits: ANSA /Daniel Dal Zennaro)
Ieri la procura generale della Cassazione aveva chiesto l'accoglimento di entrambi i ricorsi. "Non è una sentenza a metà" ha detto l'avvocato Gian Luigi Tizzoni, difensore della famiglia Poggi. "Non volevamo che fossero inflitti anni di carcere ma che fosse accertata la verità".
"Forse questo sarà un Natale diverso, dopo questa sentenza proviamo sollievo" ha detto Rita Poggi parlando con i cronisti fuori dalla villetta di Garlasco (Pavia). "Non si puo' gioire per una condanna - ha proseguito - Si è trattato di una tragedia che ha sconvolto due famiglie". Il padre di Chiara Poggi, Giuseppe, ha spiegato di "non essere in grado di dire" se la pena inflitta ad Alberto Stasi sia giusta ma "ci atteniamo alle regole".
"Otto anni per avere una sentenza definitiva sono tanti - ha sottolineato Rita Poggi - ma in tutto questo tempo non abbiamo mai pensato di mollare e di rinunciare a chiedere la verità... Nel corso dei processi sono emersi elementi che ci hanno reso sempre piùconvinti della colpevolezza di Alberto Stasi - ha concluso Rita Poggi - in questo momento mi sembra prematuro andare a parlare con sua madre".
La discussa richiesta della Procura
Giustizia è dunque fatta. E non era così scontato. Proprio ieri infatti il sostituto pg della Cassazione Oscar Cedrangoloaveva richiesto l'annullamento con rinvio in accoglimento del ricorso dell'imputato, che chiedeva l'assoluzione, e del ricorso del pg di Milano, che chiedeva al contrario il riconoscimento dell'aggravante di crudeltà. Cedrangolo ha sottolineato "la debolezza dell'impianto accusatorio", che ha portato alla condanna a 16 anni di Alberto Stasi per l'omicidio della sua fidanzata Chiara Poggi.
Nell'articolata requisitoria aveva scandagliato punto per punto gli indizi che hanno portato la corte d'appello di Milano lo scorso anno, dopo il rinvio della Cassazione, ad emettere la condanna. "In questa sede non si giudicano gli imputati ma le sentenze. Io non sono in grado di stabilire se Alberto Stasi è colpevole o innocente. E nemmeno voi" ha detto il pg rivolgendosi al collegio, "ma insieme possiamo stabilire se la sentenza è fatta bene o fatta male. A me pare che la sentenza sia da annullare". Il pg aveva sottolineato che a suo avviso "potrebbero esserci i presupposti di un annullamento senza rinvio, che faccia rivivere la sentenza di primo grado" e quindi l'assoluzione di Alberto.
L'inchiesta
Il sostituto procuratore generale di Milano Laura Barbaini, in una sessantina di pagine, oltre a cercare di smontare uno per uno i motivi di impugnazione con cui il pool di difensori guidato da Angelo Giarda ha sostenuto che il verdetto di condanna va ribaltato, ha sottolineato come la Corte d'Assise d'Appello guidata da Barbara Bellerio ha "valorizzato la circostanza (..) per la quale l'omicida non poteva non appartenere alla cerchia ristretta delle persone" che frequentavano la vittima e la sua casa e come sia stata "rivalutata l'assenza di alibi" del giovane, ora commercialista 32enne rimasto senza lavoro, "nella finestra temporale" in cui sarebbe avvenuto il delitto, tra le 9.12 e le 9.35 della mattina.
La perizia
Il pg ha evidenziato come i giudici "attraverso la rinnovazione della perizia sulla camminata" estesa ad altri gradini della scala della villetta dell' assassinio, abbiano concluso ritenendo impossibile che Alberto non si sia sporcato le scarpe di sangue e come non abbia potuto trasferire tracce ematiche nemmeno sul tappetino della sua Golf. In più ha osservato che Corte ha utilizzato la "dimostrata traccia di polpastrelli insanguinati" sulla maglietta del pigiama rosa di Chiara per provare che Stasi abbia afferrato il corpo della vittima per buttalo giù dalle scale che portano alla cantina della villetta dei Poggi per poi lavarsi le mani nel bagno lasciando le sue tracce sul dispenser del sapone. A ciò si aggiunge, tra l'altro, la rivalorizzazione del "tema della bicicletta nera da donna e quindi del Dna della vittima" sul pedale di quella bordeaux, la Umberto Dei Milano, acquisita a casa di Alberto ai tempi delle indagini. E questo grazie agli accertamenti sulla bici, sempre nera da donna, sequestrata agli Stasi solo un anno fa, e per l'appunto nel nuovo processo di appello.
La bicicletta nera
Bicicletta, che è uno degli elementi centrali della memoria presentata dagli avvocati della famiglia Poggi, Gian Luigi Tizzoni e Francesco Campagna, i quali, pur sposando le tesi del pg e della Corte d'Appello sono andati oltre: dagli accertamenti hanno scoperto non solo che è "oggettivamente diversa da quella che sarebbe stata esibita nell'immediatezza dal padre di Stasi e descritta in un'annotazione di servizio a firma del Maresciallo Marchetto", ma anche che i pedali della Umberto Dei erano stati sostituiti. E poi, per loro, "la presenza delle impronte dell'anulare dell'imputato sul porta sapone del bagno in cui si recò l'assassino" costituiscono uno dei "dati processuali assolutamente certi ed incontestati".
Le tesi della difesa
Giarda e il collega Antonio Albano nella loro memoria hanno sostenuto che uno dei punti controversi della sentenza di condanna sia stato il ritenere "sostanzialmente irrilevante l'individuazione dell'ora della morte di Chiara Poggi" pretendendo di "individuare un preciso arco temporale (23 minuti), per farlo coincidere ex post (...) con l'affermata responsabilità dell'imputato". La difesa inoltre ha passato in rassegna i capitoli più dibattuti nel processo d'appello "bis", a partire dalla impossibilità per l'ex bocconiano di sporcarsi le scarpe per concludere che, "se non vi è certezza si impone l'assoluzione - è scritto nella memoria -. La totale carenza di certezze dovuta anche ad indagini preliminari svolte con approssimazione e finanche negligenza e' un dato condivisile ma non addebitabile all'imputato" definito "il bersaglio più semplice e forse anche quello già scontato" sul quale si è indirizzata l'inchiesta che aveva anche l'"esigenza di dar seguito a istanze di giustizia per la morte" di Chiara. Ma questo si scontra "con le basilari garanzie" della difesa. (ANSA).