Tutti i dubbi della condanna a Dell'Utri

"Speravo in un'altra sentenza, ma accetto il verdetto". Parole miti, adatte al personaggio: l'ex senatore del Pdl, Marcello Dell'Utri ha commentato così la decisione della Corte d'appello di Palermo, che nella serata del 25 marzo lo ha condannato a 7 anni per concorso in associazione mafiosa.

Diverse le parole usate dal procuratore generale Luigi Patronaggio: ''È stata riconosciuta la colpevolezza dell'imputato per le accuse che gli sono state contestate fino al '92. Ci riteniamo soddisfatti e pensiamo che sia stata fatta giustizia''. A chi gli chiedeva se la Procura generale ora chiederà l'arresto di Dell'Utri, il magistrato ha riposto: “Non è dato saperlo''.

Ora, ovviamente, i legali di Dell’Utri faranno ricorso in Cassazione e si vedrà (forse) la fine di questo processo.

Resta un doppio dubbio, ineludibile in chi faccia del garantismo una pratica non opinabile: il primo dubbio riguarda il tema stesso del concorso esterno in associazione mafiosa, il reato per il quale è stato condannato Dell’Utri. Che non è l’associazione mafiosa, quella degli affiliati, ma è un comportamento difficilmente valutabile con scientificità giuridica e storica: comportamenti ambigui, dettati a volte da vicinanza esistenziale con gli uomini di Cosa nostra, a volte da potenziale ignoranza del loro effettivo ruolo.

Il secondo dubbio attiene invece alla durata del processo. Dell’Utri è stato interrogato la prima volta, da indagato, nel luglio 1995. Da quel momento sono passati quasi 18 anni e quattro procedimenti. Una gogna durata fin troppo per essere chiamata giustizia.

YOU MAY ALSO LIKE