Politica
June 24 2024
Giorgia Meloni è un modello per le destre europee per la sua strategia politica e man mano che queste crescono tale elemento è sempre più evidente. Questa influenza è interessante se si guarda all’attuale scenario politico dopo le elezioni europee, dove in Italia vi è una completa istituzionalizzazione di populismo e nazionalismo dentro le linee rosse dell’ordine europeo ed atlantico, mentre la crisi di legittimazione delle vecchie élite politiche moderate investe completamente Francia, Olanda e Germania con anni di ritardo rispetto all’Italia. In particolare il caso francese mostra, soprattutto attraverso la figura di Jordan Bardella, molti tratti che i commentatori italiani hanno avuto l’occasione di esaminare.
Bardella è il volto presentabile del suo movimento, il comunicatore abile, quello che rompe con la tradizione estremista dei Le Pen, che parla nelle ambasciate, nelle università, nelle stanze ovattate dell’alta finanza, che vuole mostrarsi docile, malleabile, aperto alle istanze di ceti dirigenti che rassicura mostrando insieme novità e continuità col passato. Ma al tempo stesso, per la provenienza dallo stesso retroterra politico e culturale, Bardella mostra anche dei tratti del “melonismo”.
Se durante i comizi è sfrontato, populista, nazionalista e si presenta come una creatura nuova del Rassemblement National, quando dialoga con i media internazionali tende a voler rassicurare gli interlocutori più qualificati, dunque nessuna Frexit, una politica economica assennata, nessuna caccia alle streghe verso banchieri, grandi industriali e alti funzionari. Secondo questo schema, di cui Meloni è l’apripista, Bardella può mostrare di poter avviare una fase di istituzionalizzazione della destra, che significa in sostanza accettare vincoli esterni come le regole costitutive dell’UE e la politica NATO, per evitare che si diffonda il panico nell’élite francese e internazionale.
Al contrario di Meloni egli però deve fare i conti con due fattori che in Italia non hanno influito allo stesso modo. Il primo è la pesante eredità dei Le Pen, la radioattività presso l’elettorato moderato, anche di destra, che questo cognome rappresenta e che rende difficile accelerare il processo di ricentramento della destra come è avvenuto in Italia. Il secondo è un sistema elettorale ed istituzionale che rende più complicata la via per la presa del potere tra il contrappeso del Presidente della Repubblica e un legge elettorale a doppio turno che favorisce le coagulazioni elettorali di chi si aggrega per non far vincere l’avversario più temibile. Riuscirà Bardella a rompere queste barriere?
Forse egli ha qualche possibilità in più di Marine Le Pen, anche se è una missione difficile nel breve periodo. Tuttavia, ciò che è certo è che ci troviamo di fronte una genia di politici che non si può paragonare alla generazione precedente poiché essi sono stati allevati nell’era del tecnopopulismo e con scaltrezza hanno imparato a dosare la propaganda, la connessione con la realtà e il legame col territorio del “paese profondo”, e a districarsi, attraverso la ricerca di una collaborazione con la tecnocrazia nelle sue varie sfumature funzionali e ideologiche, nel complicato mondo delle alte sfere del potere politico, economico e amministrativo. Si pensi a Meloni, ma anche a Wilders (al governo con i liberali) e domani proprio a Bardella. E’ il segno di una fase nuova: il motore della circolazione delle élite si è rimesso in moto anche al centro dell’Europa, mentre il riassetto istituzionale che da questa propulsione scaturirà, in termini di potere concreto e non soltanto formale, sarà una delle questioni cruciali da seguire nei prossimi anni.