Politica
June 22 2022
“Insieme per il futuro” è il nome del nuovo partitino di Luigi Di Maio (anche se forse sarebbe stato più appropriato “Insieme per il congiuntivo”). Il ministro dice addio al Movimento che l’ha cresciuto e guarda al centro come un Italia Viva qualsiasi: o come qualcuno ha scritto, con la sua “Pomigliano Viva”. Pare che la goccia che ha fatto traboccare il vaso sia stata la discesa nella rissa del presidente della Camera Fico, che schierandosi con l’Avvocato Conte ha convinto Luigi a mollare gli ormeggi.
Proprio lui, che voleva l’impeachment di Mattarella, che marciava con i gilet gialli, che si affacciava al balcone di Palazzo Chigi in stile peronista, annunciando di aver sconfitto la povertà con il reddito di cittadinanza (sicuramente ha sconfitto la sua, di povertà). Proprio Luigi Di Maio, il populista rivoluzionario, il fratello gemello di Alessandro Che Guevara Di Battista, oggi perfeziona l’ultima giravolta, e si presenta al paese come il più draghiano dei draghiani, il più europeista tra gli europeisti, il più istituzionale degli istituzionali, a braccetto con la gente che conta.
Oggi molti giornali corrono a tessere le lodi. Si sottolinea la scaltrezza politica del ragazzo di Pomigliano. Si indaga sulle relazioni con Beppe Sala e Mara Carfagna, sulle grandi manovre al centro. Ma cambiare maschera così in fretta comporta un prezzo da pagare nelle urne. I fuoriusciti, storicamente, non si coprono di gloria nel giorno del voto. E dunque, al di là delle alchimie parlamentari, qua stanno facendo tutti i conti senza l’oste elettorale.
Per quanto Di Maio possa uscirne come un D’Alema in salsa campana, c’è il rischio che tutti vadano a schiantarsi contro il muro delle elezioni. Vista da fuori, questa prima puntata dell’esplosione pentastellata si configura come un penoso spettacolo di rivalità personali, dove ai principi si sostituiscono gli interessi personali: tutto questo difficilmente sarà digerito dalla platea elettorale. Il 33% dei consensi dell’età dell’oro del Movimento è già archiviato. Vedremo. cosa resterà in piedi, nello sfacelo del popolo grillino.
Certamente, sul breve periodo, quello con le ossa più ammaccate sembra essere Conte, che pure in queste ore finge serenità: “Me lo aspettavo”. Si parlava di 20-30 dimaiani pronti a lasciare il Movimento: in realtà gli scissionisti sono molti di più. Oltre 60 parlamentari, spinti anche dalla volontà di evitare la tagliola del doppio mandato e conservare la poltrona. Tra loro, anche nomi di peso come Laura Castelli e Manlio Di Stefano. Con la conseguenza che il M5s non è più il primo partito in parlamento. Conte, dicevamo, ne esce ammaccato anche perché si ritrova schiacciato su una linea filo-russa che mal si concilia con la sua figura, e probabilmente non paga neanche in termini di consensi. Certo, Conte potrebbe anche scartare e mollare il governo in vista delle politiche: ma il personaggio non ha mostrato grande coraggio in passato. E difficilmente lo troverà adesso.
Il governo ne uscirà indebolito? Non è detto. Certamente si parcellizza la maggioranza, ma in realtà le risoluzioni continuano a passare indisturbate alla prova del voto. E se non altro Draghi adesso ha davanti un quadro più chiaro degli orientamenti della maggioranza.
La certezza è che il movimento delle origini è morto e sepolto. I leader che incrociano le sciabole sembrano ballare sul Titanic già affondato. Il tempo ci dirà se qualcuno, annaspando, riuscirà ad agganciare una ciambella di salvataggio per nuotare ancora un giro, a bordo di scialuppe di partitini fantasma. Oppure se tutti i commedianti sono condannati, inevitabilmente, all’abisso.