Televisione
March 07 2021
Sanremo 2021 è finito da una manciata di ore ma la Rai è già alle prese con un risico di non facile soluzione: trovare il successore di Amadeus. Il conduttore e direttore artistico è stato chiaro: «L'Ama ter non ci sarà. La Rai mi ha regalato due anni che non dimenticherò mai. Ma non vedo l'ora di tornare alla mia normalità», ha ammesso in modo irrituale senza aspettare la classica conferenza stampa della domenica mattina. Evidentemente Amadeus aveva già maturato e la sua idea, quella di lasciare dopo due edizioni storiche, per quanto antitetiche. Nel 2020 quella della festa pop, degli assembramenti e del doppio record di ascolti e incassi pubblicitari – 37,5 milioni di euro -, quest'anno quella della pandemia, resa anomala dal teatro malinconicamente vuoto, dagli ascolti in calo e soprattutto dalla paura latente che uno o più contagi potessero paralizzare lo show.
«Voglio fare un in bocca al lupo a quelli che verranno l'anno prossimo al posto nostro: vi auguro una platea piena di persone, ovunque. Pubblico dentro e fuori dall'Ariston, milioni di persone. Ma deve andare malissimo. Voglio vedere chi si prende questa patata bollente», graffia ironico Fiorello. Come sempre tra le righe di una battuta si nasconde una verità. Perché, per chiunque verrà nel 2022, sarà davvero una patata bollente. Ma quali sono le ipotesi in campo? Poche idee ma confuse. Del resto, il Festival è una partita che si gioca su equilibri delicatissimi e il prossimo deve fare i conti con il cambio dei vertici Rai previsto per l'estate e la fuoriuscita dell'ad Fabrizio Salini (stranamente molto silenzioso in questi giorni). Con Giorgetti al Mise e Draghi premier, è scontato che non verrà rinnovato.
Tornando alla «patata bollente» evocata da Fiorello, sono tre gli scenari più verosimili. Il primo è quello del ritorno alla conduzione di uno dei big del passato, da Carlo Conti a Fabio Fazio e Paolo Bonolis, il quale però ha subordinato il suo ter a un'idea rivoluzionaria: per il conduttore, l'Ariston «ha esaurito le sue possibilità di racconto» dunque dovrebbe cambiare sede. La seconda invece evoca la svolta «giovanilistica» e s'aggancia alla notizia data da Dagospia pochi giorni fa, l'arrivo in Rai di Alessandro Cattelan: dopo un decennio a Sky, a maggio approda a Rai1 con uno show in due puntata mentre per la prossima stagione è tutto da decidere. L'ad lo stima - tanto che ha curato in prima persona l'operazione - e in molti ricordano che già due anni fa andò in pressing per affidargli la conduzione di Sanremo 2020, cosa confermata dallo stesso conduttore. «L'allora direttore di Rai1, Teresa De Santis era contraria e quando iniziò a circolare un'indagine dal Marketing che evidenziava come Cattelan fosse un volto poco conosciuto per il pubblico della Rai, l'ipotesi sfumò e si scelte Amadeus che poi ha fatto ascolti clamorosi», racconta a Panorama.it un dirigente Rai. Ora il suo arrivo a Rai1 potrebbe cambiare tutto, ma il direttore di Rai1 Stefano Coletta frena: «Almeno con me non si è mai parlato del prossimo Sanremo».
La terza ipotesi? Quella del rinnovamento totale, con un Sanremo 2022 tutto al femminile, sulla spinta dal successo delle donne del 71esimo Festival, vere rivelazioni di questa edizione, in particolare con Matilda De Angelis ed Elodie a trainare la «quota rosa» con partecipazioni sorprendenti e performance ad alto tasso di show internazionale. Altro che vallette, altro che presenze di contorno: anche se con partecipazioni brevi, Serena Rossi o la carismatica direttore d'orchestra Beatrice Venezi, che ha affiancato Amadeus venerdì sera, hanno subito lasciato il segno. E se dunque il «cambio di passo» arrivasse proprio affidando la conduzione (e la direzione artistica) a una donna, ribaltando l'impostazione classica? In passato è accaduto solo tre volte con Raffaella Carrà, Simona Ventura e Antonella Clerici, quest'ultima nel 2010 e per altro con share bulgari. I nomi forti? Tutti da vagliare. Di certo un Festival tutto al femminile ha già detto che lo farebbe volentieri Maria De Filippi: «Con Sabrina Ferilli, tutta la vita. Con Mara Venier, tutta la vita. Con Luciana Littizzetto, magari. Sarebbe molto divertente». Per ora è solo fanta tv, ma con lei gli ascolti sarebbero garantiti.
Era stata annunciata come l'edizione che avrebbe sancito il trionfo della nuova scena musicale italiana, la frattura netta e definitiva con il passato, la dichiarazione d'indipendenza (artistica) del nuovo che avanza. Beh, non è andata così.
Hanno vinto i Maneskin (81 anni in quattro), l'unica vera rock band del festival, quattro ragazzi che sanno suonare e stare su un palco facendo spettacolo. E un motivo c'è: la gavetta non l'hanno fatta davanti a un pc nella stanzetta di casa, ma su palchi veri davanti a gente vera.
«Zitti e Buoni è un brano di puro rock and roll che affonda le sue radici profonde nell'hard rock degli anni Settanta, un pezzo agli antipodi della classica canzone da Festival, lontano anni luce dalla trap, dal rap e dal nuovo cantautorato triste. Eppure ha vinto a man bassa. Non sorprende, viene da dire, considerato che le canzoni di Sanremo 2021 erano oggettivamente deboli se non inutili, e in alcuni casi anche cantate male (vedi Aiello, Random e Fulminacci).
«Ne ho sentiti tanti di colleghi stonati. Credono che cantare sia facile...» ha chiosato Orietta Berti, 77 anni, centrando esattamente il punto. In buona parte abbiamo assistito a uno spettacolo di brani mediocri deturpati ulteriormente da un'interpretazione dilettantesca, con l'aggravante di un uso sconsiderato dell'autotune, quel trucchetto, ormai obsoleto e abusato, che aggiusta sì la voce ma appiattisce qualsiasi interpretazione. Il tutto affogato in uno show di cinque interminabili ore con alcuni artisti mandati in scena abbondantemente dopo la mezzanotte. Tra sketch, revival, e calciatori canterini e Achille Lauro, che dopo un solo anno è già finito nel girone del "già visto e sentito". Nessuno scalpore, nessuno scandalo.
Se parliamo di nomi nuovi, qualche sprazzo di luce si è visto con La Rappresentante di Lista, Coma_Cose, Willie Peyote. Piacevole anche la finta spensieratezza di Musica leggerissima di Colapesce-Dimartino. Troppo poco per salvare nell'insieme una proposta musicale modesta e confusa, in cui anche i nomi più noti non hanno brillato proprio per la mancanza di canzoni in grado di fare la differenza (Noemi, Malika Ayane, Max Gazzè).
Quel che servirebbe al Festival dall'anno prossimo in poi non sono le generiche dichiarazioni di rinnovamento, non basta sbandierare l'abbassamento dell'età media dei big in gara: servono canzoni forti, che ciascuna nel suo genere siano in grado di rilasciare emozioni e buone vibrazioni, ma soprattutto servono interpreti credibili, artisti che sappiano usare la voce e il corpo per dar vita ad una performance degna di questo nome.
Eppure, paradossalmente, il Festival di quest'anno una funzione ce l'ha avuta: consegnare la vittoria finale all'unica band esponente di un genere, il rock, considerato morto e sepolto da anni. Forse non è così, o forse in questo Sanremo il vecchio suono distorto di una chitarra rock è sembrato l'unica cosa vera...