Lifestyle
May 21 2019
Sappiamo come va a finire. Oh, se lo sappiamo. Incoraggiati dalla stagione e in un momento di fiducia in noi stessi:
1) acquistiamo il libro con l’ultima dieta infallibile;
2) compriamo le compresse anti-pancia esaltate in rete;
3) incolliamo sulla porta del frigo la dieta della rivista specializzata;
4) investiamo una somma significativa dal dietologo.
Ma poichè bisogna pesare tutto sulla bilancia (a proposito: a crudo, a cotto, al netto o no degli scarti?), sappiamo anche che il naufragio ci sarà, in quanto:
1) andremo a cena con gli amici;
2) mangeremo al bar perchè i colleghi ci odiano quando arriviamo col contenitore da scaldare al microonde;
3) l’uso della bilancia a ogni pasto è un virtuosismo la cui speranza di vita è pari a una settimana.
Ma una via di salvezza c’è. Gli alti guru del pesoforma, non gli scoopisti stagionali bensì quelli che hanno costruito basi fondamentali come la piramide alimentare, hanno messo a punto una formula che ognuno di noi ha, letteralmente, «a portata di mano»: la dieta basata sulle corrette porzioni calcolate dalle mani.
Si chiama «dietetica per volumi» una pratica su cui la British Nutrition Foundation ha appena pubblicato la Handy portion sizes, una tabella in cui sono elencate le quantità consigliate per piatti e ingredienti valutati «manualmente». Cereali da colazione: tre pugnetti; un petto di pollo, metà palmo della mano; una patata al forno, il pugno chiuso; riso crudo, una manciata; spaghetti, il gesto ok con pollice e indice uniti. Mentre per i liquidi si ricorre ai più consueti strumenti da cucina: yogurt, quattro cucchiai; olio, un cucchiaio; succo di frutta, un bicchiere piccolo. A ogni misura «manuale», preceduta da un «circa» che mette in conto le differenze individuali, la tabella affianca il peso in grammi.
Certo suona meno magico delle oltre 100 diete-miracolo elaborate dalla fine degli anni Settanta a oggi, da quando essere magri è diventato uno status symbol. Eppure, concordano i dietologi, è la soluzione definitiva e sostenibile per scongiurare lo yo-yo della bilancia.
Sembra un metodo approssimativo, anzi primitivo. In realtà richiede al dietologo un bagaglio di conoscenze più complesso della dieta in grammi perché esige di far coincidere praticità e precisione: due entità apparentemente divergenti. Difatti le formule di proporzione matematica sono oggetto di varianti.
Un gruppo di ricerca dell’Università di Sydney ha sviluppato un metodo di controllo che prende come unità di misura le dita rifacendosi al sistema anglosassone, tuttora in uso, che valuta le lunghezze in thumb, pollici. Una porzione di carne corretta corrisponde alle dita delle due mani accostate (pollici esclusi); una di lasagne a quattro dita più uno; una di formaggio ai due pollici in parallelo. C’è anche chi, cercando metodi più attraenti per le generazioni digitalizzate, dà come equivalente di 50 grammi di formaggio il lettore MP3 e il mouse per una patata al forno.
La risposta risolutiva sembra essere quella del dietologo Michele Sculati che, lavorando con i colleghi del Politecnico di Milano e dell’Università di Pavia, ha messo a punto la Handy Diet, un metodo che calcola le porzioni individuali corrette attraverso la scannerizzazione in 3D del volume, della larghezza e dello spessore della mano del paziente, tecnica adottata al Master dell’Università degli studi di Milano-Bicocca e Pavia nella formazione dei nutrizionisti (info@sculati.it).
«Anche se la valutazione del peso corrispondente può non essere precisa al grammo» precisa Sculati «la misura a occhio delle quantità, facile da fare dovunque e in qualsiasi momento, mentre si fa la spesa e mentre si cucina, a casa e al ristorante, è la chiave di volta per la riconquista e il controllo del peso forma.
A patto che sia un esercizio, anzi un gioco, quotidiano. Perché noi crediamo di saper gestire la fame, ma in realtà siamo agli ordini dell’ipotalamo, quel centro del sistema nervoso centrale che da 200 mila anni presiede all’evoluzione umana e impone di fare scorte per la sopravvivenza mangiando più di quello che serve». Senza contare che «lasciato nel piatto» contrasta con antiche raccomandazioni materne e con la lotta contemporanea allo spreco. Di fatto è scientificamente dimostrato che più grande è la quantità di cibo che abbiamo davanti, più mangiamo. Nel frattempo la misura delle porzioni è in aumento. Da Hamerica’s, la catena specializzata in american style food, il burger medio vale 220 grammi di carne, il supreme 300.
Il tutto a fronte di altri due elementi critici: la frequenza con cui si mangia fuori casa, nelle grandi città corrisponde a due-tre volte alla settimana, e la densità calorica dei cibi più gettonati: pizza, dolci, farine raffinate, sale, zuccheri. I soloni dello Healthy Eating Index di Atlanta, Stati Uniti, che attribuisce cento punti al cibo sano, hanno assegnato un misero 48 ai pasti fuori casa, vicino alla votazione dei fast food.
In realtà, impegnati come siamo in mangiucchiamenti continui, noi non sappiamo più cos’è la fame. «Eppure, per riconoscerla sarebbe utile sperimentarla» sostiene Sculati. Di qui il successo delle cliniche del digiuno dove, a caro prezzo, impariamo quando l’abbiamo davvero. Ciò detto, c’è la questione dei cibi demonizzati dall’universo-dieta: no dolci, no pasta, no burro, no panna. «Neanche per sogno» tuona Eugenio Del Toma, specialista in scienza dell’alimentazione «si può e si deve mangiare di tutto se non ci sono malattie specifiche. Ma calorie introdotte e calorie consumate devono essere uguali. Le grandi città sono obesiogene, senza stimolo a camminare, salire e scendere le scale, lavorare di ramazza in casa. Bisogna reagire».
Se a questo, come insegna il dietologo-gourmet Mauro Defendente Febbrari, responsabile della linea invidiabile delle nuove generazioni di cuochi, aggiungiamo una masticazione lenta, arriveremo a godere di ogni sfumatura della cucina senza rinunce. Dalla pasta e fagioli alla creazione più rarefatta. Dimagrendo.
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