Economia
November 28 2019
Pagare le tasse nel Paese dove si generano fatturati. Dovrebbe essere la logica fiscale più aristotelica del mondo, ma così non è per i giganti digitali.
Mediobanca ha diffuso i dati delle imposte pagate nel 2018 dai 15 giganti del WebSoft (Software & Web Companies) che hanno filiali nel nostro Paese. In tutto aziende che hanno fatturati miliardari hanno lasciato al Fisco italiano solo 64 milioni di euro cui vanno aggiunti i 12,5 milioni di Apple.
Entrando nello specifico Microsoft ha pagato 16,5 milioni, Amazon 6 milioni, Google4,7 milioni, Oracle 3,2 milioni, Facebook 1,7 milioni, Uber 153 mila euro e Alibaba solo 20 mila euro. Se però si pensa, ad esempio, che Google solo in Italia ha avuto utili per 15 milioni e Amazon di 11,8 milioni e si fanno le dovute proporzioni con quello che le aziende non digital pagano, i conti non tornano.
Questo accade perché fino a oggi non è mai entrata in vigore la digital tax, ovvero la tassa che obbliga le grandi aziende digitali a rendere conto al Fisco del Paese dove il fatturato viene creato. E così visto il peso fiscale italiano i maghi del web preferiscono spostare il fatturato delle controllate all'estero, in paesi dove le aliquote fiscali sono più basse. Certo, si tratta di transizioni che costano, ma che convengono rispetto all'onere di dover rendere conto degli incassi al Fisco.
Nel 2017, ad esempio, Google ha sborsato più di 300 milioni, mentre nel 2015 Apple ne ha tirati fuori 318.
Secondo i conti di Mediobanca, fino a ora i giganti del web con i loro magheggi avrebbero risparmiato 48 miliardi di tasse.
In teoria, però, le cose ora dovrebbero cambiare perché l'attuale esecutivo dovrebbe rendere operativa una legge realizzata dallo scorso governo che prevede l'obbligo fiscale nel paese di fatturazione anche per i giganti del web.
La necessità di una tassa nazionale deriva dall'impossibilità europea di giungere a un accordo condiviso a causa dell'opposizione, tra le altre di Danimarca, Svezia e Finlandia Paesi dalla bassa imposizione fiscale che godono del meccanismo del "Ctrl. X Ctrl. V" attuato dai colossi digitaliche spostano il denaro eludendo il fisco nazionale.
In attesa che l'Ocse giunga a una soluzione l'Italia - come la Francia - ha deciso di fare per sé. Dal prossimo gennaio, dunque, entrerà in vigore una tassa con una aliquota unica al 3% sui ricavi delle imprese con oltre 750 milioni di fatturato di cui almeno 5,5 derivanti da prodotti online.
Con provvedimento a firma Lega-M5S si stima un gettito di 600 milioni l’anno per il 2020 e il 2021.
A pagare saranno sia le imprese residenti o con stabile organizzazione in Italia e le imprese non residenti.
La web tax, quindi, si applicherà alle prestazioni di servizi effettuate tramite mezzi elettronici e rese nei confronti di imprese residenti nel territorio dello Stato e delle stabili organizzazioni di soggetti non residenti.
Riguarderà sia la pubblicità, sia gli interfaccia digitali sia la trasmissione dati e a essere colpiti saranno giganti quali Amazon, eBay, Facebook o Google.
In passato, senza successo, si era tentato di tassare le transazioni digitali con sue diversi provvedimenti ovvero la Google Web Tax e la Digital Web Tax. In questo caso, però, l'imposta dovrebbe andare a colpire le vendite online.
Certo è che la necessità di tassare l'economia digitale è una realtà a livello globale. Visto che i giganti del web spostano il fatturato da un paese all'altro con un clic sarebbe necessario stabilire una serie di regole valide per tutti e che tengano conto di una serie di paletti.
I due pilastri fondamentali sono: un sistema dove le aziende sottopongono beni e servizi venduti alla tassazione del paese dove la compravendita avviene (anche se la presenza fisica della compagnia è altrove) e il varo di un’aliquota globale unica, e cioè una tassa uguale da fissare al summit stesso, nel caso in cui non si arrivi ad un accordo con le compagnie coinvolte nel dialogo.
Dove già esiste ed è in vigore una web tax le grandi aziende pagano fior di multe se vogliono eludere il fisco. Succede in Francia. Google, ad esempio, ha pagato 500 milioni di europer chiudere un’indagine per frode fiscale della Procura nazionale francese cui vanno aggiunti 465 milioni di euro di tasse aggiuntive per aver eluso il fisco raggiungendo un totale di quasi un miliardo di euro.