Televisione
January 08 2021
In Danimarca sta spopolando un nuovo cartone animato per bambini.
Non sarebbe una notizia eccezionale se non fosse che il protagonista, tale "Dillermand", è l'uomo con il pene più lungo del mondo. Sì, avete compreso bene. Il nuovo eroe dei fumetti in epoca Covid, impegnato in performance inimmaginabili grazie ai suoi genitali inspiegabilmente enormi che usa in molteplici modi, ha sollevato un'ondata di consensi che sembra travolgere persino il movimento #Metoo danese, con la nuova celebrazione del membro maschile.
Se è pur vero che all'epoca delle religioni pagane il fallo era il simbolo del membro virile in erezione, cui venivano dedicati riti e preghiere e per secoli è stato oggetto di potere, già gli antichi greci consideravano un pene piccolo segno di doti virtuose e un pene grande indice di lussuria irrazionale di cui erano dotate creature semiumane. Secondo alcuni storici queste ultime erano l'emblema della perdita di autocontrollo.
Fatto sta che, a distanza di millenni e dopo radicate e sofferte rivendicazioni femministe, l'idea che un pene ragguardevole potesse avere un valore maggiore sembrava definitivamente tramontata.
E invece no.
L'annus horribilis 2020 appena terminato, flagellato dalla pandemia mondiale, ci ha ricacciato indietro di millenni e regalato questa chicca: una realtà che allestisce nuovi scenari malati, nemmeno concepibili con la più fervida e morbosa fantasia. Che cosa abbia spinto l'ideatore del nuovo eroe rimane davvero un mistero, anche perché John Dillermand non ha nulla di paragonabile alla divinità Kmul, anch'essa dotata di un enorme membro, adorata dai fenici e dagli assiri. John Dillermand, molto più banalmente, pare scappato da un circo, ha un aspetto da beone, con un paio di baffi improbabili da giocoliere ed è vestito con un costume da bagnino a strisce rosse e bianche.
Insomma, una discesa agli inferi di un'epoca che non tutela affatto l'infanzia, che non ne preserva il candore e l'ingenuità ma gode a spingerla verso la perversione di un cartone animato pensato per bambini dai quattro agli otto anni il cui protagonista può fare qualsiasi cosa con il suo enorme pene alla stregua di un superpotere. Le gesta di John sono in effetti stupefacenti: combina guai e li risolve, grazie alle proprietà elastiche e prensili di tale organo che può fungere da asta, da proboscide, da rotore di elicottero con pale incorporate, da lazzo, da guinzaglio e tutto quello che gli pare, compreso regalare un succulento gelato ad un estasiato bambino.
Ciò che più lascia perplessi è il plauso da parte di chi avrebbe dovuto ergersi indignato a difesa dei bambini: come una tale Dott.ssa Erla Heinesen Højsted, psicologa che pare abbia difeso il format valorizzando il fatto che John Dillermand sia un eroe positivo che «parla ai bambini, condivide il loro modo di pensare. Si assume la responsabilità delle proprie azioni. Quando una donna gli dice che dovrebbe tenere il pene nei pantaloni, per esempio, lui la ascolta. È carino, è responsabile».
Non credo che siano in molti a condividere i pensieri di questa psicologa visto che, se proprio la vogliamo dire tutta, l'esaltazione del corpo e, in particolare, la celebrazione dei genitali maschili non fa altro che standardizzare una cultura da spogliatoio. In definitiva John Dillermand non è né innocuo né divertente perché sdoganare il sesso sottoforma di cartoon e servirlo a bambini piccolissimi in modo così subdolo, maschilista e apparentemente accattivante, ha qualcosa di profondamente turpe, ripugnante ma anche diabolico.
Gesù mise in guardia chi volesse creare scandalo nei più piccoli (sia gettato negli abissi del mare con una macina al collo) ma c'è una morale comune che prescinde dalle religioni rivelate e abbraccia anche i più ferventi cultori dell'ateismo e del progressismo: esistono limiti che ogni cultura e ogni sistema normativo al mondo ritengono invalicabili e coincidono con la tutela dei più piccoli. Inutile quindi che l'opulento mondo occidentale, che pensa di poter guardare tutti dall'alto in basso, si indigni di fronte alle violenze sui minori commesse in India o in Africa, se poi si rende protagonista di manifestazioni o tecniche di insegnamento che vanno a ledere la sensibilità dei bambini, veicolando loro messaggi legati ad una sessualità distorta. Messaggi che, inevitabilmente, portano a esaltare il culto del pene come mezzo per poter fare qualsiasi cosa, soprattutto nel bene.
In Italia il signor Dillermand non è ancora entrato nelle nostre case e speriamo che non ci entri mai. Diversamente ci sarebbe da chiedersi a cosa servano l'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza - istituita anche con il compito di tutelare i minori nel mondo della comunicazione. Se, come recita la Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre del 1989 e la sua legge di ratifica in Italia "l'interesse del fanciullo deve essere una considerazione preminente", John Dillermand va assolutamente bloccato ed ai nostri fanciulli vanno lasciati i rassicuranti Peppa Pig, Masha e l'Orso, Saetta di Cars ed Elsa di Frozen, personaggi puliti che non puntano a far divertire i più piccoli con il pene o altri organi sessuali, ma rispettano le tappe della loro crescita.