I dinosauri, l'asteroide, il clima e noi
Hanno vissuto sul pianeta per 180 milioni di anni, si sono estinti in un battito d'ali (geologicamente parlando) 66 milioni di anni fa. I dinosauri, «rockstar» del passato terrestre, sono scomparsi perché non hanno saputo adattarsi alla rivoluzione climatica provocata dalla caduta di un enorme asteroide. Sulle nostre teste non sta cadendo, né minaccia di farlo, alcun oggetto cosmico. Ma come quegli antichi giganti, anche noi rischiamo di giocarci la sopravvivenza di specie se non sapremo da un lato frenare il riscaldamento globale in corso e, dall'altro, adeguarci a essi, come spiega Federico Fanti, geologo e paleontologo all'Università di Bologna, uno degli ospiti del recente festival del National Geographic, tenutosi a Milano e dedicato ai cambiamenti climatici, alla bellezza del pianeta, alla rivoluzione verde e all'impegno sociale, insieme a scienziati, fotografi, scrittori.
Che c'entrano i dinosauri di milioni di anni fa con noi esseri umani di adesso?
«Vede, di solito si pensa che chi fa il mio mestiere si metta semplicemente a investigare sulle specie estinte nel passato geologico, invece noi paleontologi cerchiamo di capire come, durante i grandi cambiamenti che hanno coinvolto la Terra, le specie del tempo abbiano reagito. Capire le ragioni che hanno portato alle grandi estinzioni e chi è sopravvissuto, chi ce l'ha fatta e in che modo, ci fornisce un'arma in più per affrontare meglio il nostro presente e il futuro».
In che modo si può sfuggire ai problemi causati dalle rivoluzioni climatiche?
«Esiste una legge non scritta: ogni volta che sulla Terra si verifica un grande cambiamento, le opzioni sono tre: estinguersi, spostarsi o adattarsi. La prima opzione non è auspicabile, anche se tante specie animali si stanno già estinguendo; e molte altre, comprese la specie umana, hanno iniziato a spostarsi».
La terza ipotesi è adattarsi. Quello che stiamo facendo...
«No, attenzione. Noi umani siamo la specie meno adattabile che esista. Eppure ci siamo adattati, in passato, a climi diversissimi tra loro, dall'Africa al Polo nord.. In passato sì, ma ci abbiamo impiegato migliaia di anni, non una manciata di anni come ora. Negli ultimi tempi, comunque, non ci siamo adattati a niente, abbiamo semplicemente modificato l'ambiente che ci circonda, con confort e tecnologie di vario genere: vestiti e termosifoni per proteggerci dal freddo, condizionatori contro il caldo. Noi stiamo vivendo adesso qualcosa di incredibilmente più rapido di quanto gli adattamenti necessitano. Il cambiamento di per sé parte del nostro codice genetico ma ci vuole il tempo giusto. Oggi abbiamo innescato processi che vanno più veloci dei nostri adattamenti naturali».
I dinosauri da che cosa furono fatti fuori, l'ipotesi dell'asteroide è tuttora valida?
«Assolutamente sì, la teoria dell'asteroide è ormai assodata. I dinosauri, scomparsi dal pianeta 66 milioni di anni fa, sono sopravvissuti per 180 milioni di anni a sfide di ogni genere, trovando sempre il modo di andare avanti. Hanno affrontato diverse estinzioni ma la loro stirpe non si è mai estinta. Persero la battaglia per qualcosa di così rapido e fuori scala, come un asteroide, che mise in crisi la quasi totalità della vita terrestre, tranne alcuni gruppi tra cui i mammiferi. Sessantasei milioni di anni fa cambiarono le regole del gioco. Dovevano essere trovate soluzione e i dinosauri fallirono perché non avevano tempo. Così come noi oggi. L'asteroide però è un evento repentino, noi abbiamo ancora tempo per intervenire...Ma la natura ha bisogno di tempi assai più lunghi, 30 o 50 anni non sono comunque molti, specialmente perché qualunque cosa che oggi cambia e cresce lo fa in maniera logaritmica. Per questo occorre agire subito».
Insomma, siamo noi il nostro asteroide?
«È proprio così. E non è il massimo della furbizia. La grande differenza tra noi e i dinosauri è che noi capiamo benissimo cosa sta succedendo, e siamo l'unica specie ad avere questa capacità. Il problema è che non ci piace la soluzione che potremmo dare al problema. L'adattamento nel nostro caso è diventato il compromesso, il patteggiamento. Ma come risposta ai cambiamenti climatici non funziona granché».
Non abbiamo grosse alternative, non crede?
«Una soluzione incisiva a livello planetario è utopistica, molti paesi emergenti rivendicano il «diritto» a inquinare perché per loro significa crescere.Inevitabile entrare nella sublime arte del compromesso. Ma se vogliano patteggiare dobbiamo affrontarne le conseguenze. Anche la scienza e la comunicazione comunque hanno sbagliato parecchio».
Ossia?
«Uno degli errori peggiori è stato estremizzare tutto, dicendo per esempio «questa cosa non è mai successa prima». Ma non funziona dirlo così, in modo generico ed enfatico. La politica di Trump o di altri leader è stata quella di minimizzare il cambiamento climatico, per la serie: «Dicono che c'è il riscaldamento globale, allora come mai sta nevicando?». E se tutto al momento fa scalpore, allora tutto è uguale e questo reso per molti il messaggio della scienza uguale a quello di un gossip o di uno show. L'errore immenso di pensare che la scienza sia a favore di un'ideologia piuttosto che di un'altra. Ormai comunicare è diventato più importante del contenuto stesso. La scienza non vuole dare ragione a qualcuno, ma aiutare a capire come funzionano le cose e dare la possibilità di intervenire. È stato sbagliato aprire enormi dibattiti in cui tutti potevano dire la loro, mentre i fatti passavano in secondo piano».
Che ne pensa della possibilità, talvolta evocata, di un'umanità che in futuro potrebbe trasferirsi su un altro pianeta?
«Potrebbe anche essere possibile un giorno traslocare su un altro mondo, la scienza serve a spingersi oltre. Esplorare nuovi mondi è positivo. Ma prima di cercare una nuova casa, è urgente sistemare quella vecchia. È l'unica che abbiamo, ed è bellissima».
Contenuti del National Geographic Festival:
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