Economia
January 15 2020
Entrereste volentieri in un negozio dal quale i commessi non vi lasciano più uscire? Certo che no, ma è quello che spesso vi capita quando vi abbonate a un gestore telefonico, a una pay tv o a un servizio via internet. «L'anno scorso ho spedito una raccomanda con ricevuta di ritorno alla Tim per recedere dal contratto di telefonia in seguito alla modifica delle condizioni contrattuali. A tutt'oggi continuo a ricevere da Tim fatture per il pagamento del canone del modem pur non avendolo più utilizzato». «A fine 2017 ho attivato un abbonamento con autorinnovo al Corriere della Sera (digital edition) al costo di 99 euro. Un anno dopo l'abbonamento è stato rinnovato al costo di 249,99 euro. Ho inviato la lettera di recesso per email su indirizzo indicato dal fornitore. La risposta è stata negativa. Che cosa devo fare?». «Ho dato disdetta a Sky dopo 10 anni e mi hanno addebitato una penale per uscita anticipata (???) e una penale Fastweb, che non ho mai disdetto. Non credete assolutamente a quello che raccontano in tv che si può disdire quando si vuole...».
Già: oggi abbonarsi è facile. Ma rompere il contratto è complicato e costoso, come testimoniano le migliaia di lettere inviate da clienti esasperati alle associazioni di consumatori. Le aziende cercano di trasformare l’operazione di disdetta in una labirintica ricerca di moduli all’interno dei loro siti internet, costringendo gli utenti a scrivere raccomandate o a ripescare in soffitta le scatole di vecchi modem da riportare «come nuovi» nei negozi di telefonia. Il risultato è una generale arrabbiatura dei clienti e una serie di interventi delle autorità di settore per costringere le imprese a comportarsi meglio. Come rivela un’indagine condotta dal sito Facile.it, che mette a confronto tariffe, mutui e polizze, tra il 5 e il 18 per cento di chi abbandona un operatore lo fa perché lamenta «scarsa trasparenza» o per le politiche insoddisfacenti dell’azienda. Difetti che vengono confermati se non aggravati nel momento del divorzio. «Alla nostra organizzazione arrivano decine di migliaia di reclami che riguardano il diritto di recesso o la disdetta dei contratti» dice Danilo Mimmi, coordinatore dell’area giuridico-fiscale di Altroconsumo. «Avendo un maggior numero di clienti, le società telefoniche sono le più bersagliate dalle proteste, seguite dai fornitori di energia e dai servizi venduti su internet».
"Non era come me l'aspettavo"
I reclami riguardano in primo luogo la difficoltà di recedere da un servizio che è diverso da quanto ci si aspettava: «Molti consumatori» spiega Mimmi «vengono convinti ad abbonarsi a un servizio quando rispondono a una telefonata, in cui le informazioni non sono del tutto complete e dove basta un ‘sì’ per accettare le clausole del contratto. Oppure quando si fermano davanti a un banchetto in un supermercato, dove l’utente viene indotto a fare una scelta poco consapevole». Quando il consumatore si rende conto di aver commesso uno sbaglio e vuole recedere dal contratto, non dovrebbe incontrare particolari ostacoli, in particolare entro i 14 giorni dalla adesione: la legge sulla concorrenza n.124 approvata il 4 agosto 2017 prevede che «le modalità utilizzabili dal soggetto contraente che intenda recedere da un contratto stipulato con operatori di telefonia e di reti televisive e di comunicazione elettronica, nonché in caso di cambio di gestore, devono essere semplici e di immediata attivazione e devono seguire le medesime forme utilizzabili al momento dell'attivazione o dell'adesione al contratto». In altre parole, se l’utente ha sottoscritto un contratto con una telefonata o con un clic, deve poter recedere con una telefonata o con un clic. «Invece le aziende spesso pretendono ancora l’invio di raccomandate, addirittura con ricevuta di ritorno» sottolinea Mimmi. Aggiunge Emilio Viafora, presidente di Federconsumatori: «Per bloccare un abbonamento con rinnovo automatico occorre inviare una raccomandata entro una certa data: poiché non posso sapere quando la lettera arriverà e se rispetterà i termini, devo necessariamente spedirla in anticipo e con ricevuta di ritorno. Altro che disdire con un clic!»
Offerta poco chiara
Oltre alla farraginosità del recesso entro i 14 giorni, i consumatori puntano l’indice contro il malcostume dell’abbonamento scontato che poi diventa carissimo. Di che cosa si tratta? Semplice: il cliente aderisce a un’offerta che viene presentata di solito in modo poco chiaro, pagando un prezzo nettamente inferiore a quello standard. Cessata la fase promozionale, il prezzo si impenna e se l’abbonato vuole uscire, scopre di aver firmato un contratto biennale: per chiuderlo deve pagare una penale particolarmente salata. «Una delle nostre battaglie» ricorda Mimmi «è far sì che queste condizioni siano ben chiarite in occasione della firma del contratto, non basta che siano scritte nei documenti».
Un altro fronte riguarda il cambio delle condizioni contrattuali da parte del gestore: il cliente ha diritto di disdire il contratto senza pagare alcuna penale, ma questa informazione non viene comunicata in modo chiaro. E poi c’è la complicazione di restituire o di ripagare l’hardware delle compagnie telefoniche o degli operatori tv: un tema su cui è intervenuta l’Autorità garante delle comunicazioni che dal 2019 ha proclamato la «libertà di modem», ovvero la possibilità di usare un terminale diverso da quello imposto dagli operatori telefonici. Un’indagine sul campo condotta da Altroconsumo in una quindicina di punti vendita di sei aziende (Fastweb, Tim, Tiscali, Tre, Vodafone e Wind) ha mostrato però che non sempre gli addetti alla vendita rispettano la normativa: in sei negozi è stato negata la possibilità di usare un modem diverso da quello della compagnia di telefonia.
I paletti dell'Agcom e dell'Antitrust
Di fronte all’aggressività delle imprese, l’Agcom è scesa in campo più volte: nel 2018 ha introdotto una nuova disciplina sui recessi anticipati e, come spiegano all’Autorità, «oltre a imporre agli operatori precisi obblighi di informazione e comunicazione, le linee guida chiariscono che le spese devono essere commisurate al valore del contratto e ai costi sostenuti dall’azienda e non possono eccedere il canone medio mensile; il piano di rateizzazione di un prodotto o un servizio offerto insieme al servizio principale non può eccedere i 24 mesi e, in caso di recesso anticipato, l’operatore è tenuto a concedere agli utenti di scegliere fra il pagamento delle rate residue in un’unica soluzione o il rispetto della rateizzazione». Superati con successo i primi ricorsi giudiziari degli operatori, la nuova disciplina ha avuto l’effetto di ridurre i costi di recesso.
L’Agcom ha dovuto anche adottare alcuni provvedimenti di diffida e sanzionare chi non rispettava la normativa che obbliga le imprese a rendere possibile la chiusura anticipata del contratto non solo tramite raccomandata, ma via web, con il telefono o nei punti vendita delle società. «Solo sui punti vendita è in atto ancora un confronto con gli operatori che, di solito, escludono i negozi non di proprietà tra quelli dove è possibile recedere» riferisce un portavoce dell’Autorità. Non solo: per quanto riguarda le modifiche unilaterali da parte delle compagnie, l’Agcom ha fissato alcuni obblighi che gli operatori sono tenuti a rispettare, come la comunicazione agli utenti che deve essere «chiara, completa e tempestiva, con informazioni dettagliate sul reale incremento di prezzo e sulla data effettiva di entrata in vigore della modifica; o il preavviso, che non deve essere inferiore a 30 giorni».
Anche l’Antitrust è intervenuta in difesa degli abbonati «gabbati». Nel febbraio 2019 ha inflitto a Sky una multa da 7 milioni di euro per pubblicità ingannevole e pratica aggressiva in quanto «ha esercitato un indebito condizionamento nei confronti dei clienti abbonati al pacchetto Sky Calcio, i quali, a fronte di una rilevante ridefinizione dei suoi contenuti (riduzione del 30 per cento delle partite di serie A e cancellazione dell’intero torneo di serie B) non sono stati posti nella condizione di poter assumere liberamente una decisione in merito al mantenimento o meno del pacchetto. Gli abbonati a tale servizio sono stati costretti a scegliere tra due possibilità, entrambe svantaggiose, ossia la prosecuzione degli addebiti, tra l’altro in misura invariata, nonostante il contenuto diverso e ridotto del pacchetto rispetto a quello originariamente scelto, oppure il recesso dal contratto a titolo oneroso, con il pagamento di penali e-o la perdita di sconti e promozioni connessi alle offerte con vincolo di durata minima».
In compenso, i nuovi protagonisti dell’intrattenimento via web, come Netflix, Spotify e Dazn, hanno un approccio molto più trasparente con gli abbonati e consentono di lasciare facilmente il loro servizio. Una strategia che paga: si entra più volentieri in un negozio dal quale è facile uscire, no?