La Cyber «disoccupazione» dell'Intelligenza Artificiale
Il Garante ha lanciato l’allarme in tema di protezione dei dati, ma in molti iniziano ad avere il dubbio che oltre ai propri dati personali, le intelligenze artificiali gli porteranno via anche il lavoro. Giornalisti, copywriter, uffici stampa e chiunque si guadagna da vivere scrivendo, inizia ad avere il sospetto che entro qualche anno una buona parte di loro dovrà guardarsi intorno alla ricerca di un nuovo mestiere. A ben vedere il problema potrebbe riguardare tutti, ma proprio tutti.
Il Principio di Pareto afferma che l’ottanta per cento delle azioni causa il 20 per cento dei risultati. Immaginiamo che tutti noi da domani mattina iniziamo a lavorare con l’assistenza di un’intelligenza artificiale. Forse non basterà un anno, magari ne serviranno due, ma alla fine il nostro alter ego digitale avrà appreso quel fondamentale 20 per cento di cose facciamo e che produce l’ottanta per cento del risultato. Questo potrebbe valere per qualsiasi professione, ma mi sembra probabile che gli algoritmi esprimeranno il loro meglio nelle discipline tecnico-scientifiche, quelle di matematica precisione.
Possiamo attenderci che il prodotto del lavoro di uno sviluppatore software di domani sarà pari a quello di almeno quattro o cinque di oggi. Ma lo stesso può valere per un ingegnere. Nel mio settore specifico, quello della cyber security, poco più di un anno fa si parlava della carenza di 100 mila professionisti solo in Italia, nei prossimi anni potrebbero bastarne meno di un quinto. Personalmente penso che potrebbe non essere un problema in assoluto, e come ha scritto Dante “fatti non foste a viver come bruti”. Adesso, però, sorgono alcuni problemi. Il primo. Cosa faranno tutti quelli che sono “in esubero”? Questo si potrebbe risolvere lavorando tutti molto meno a parità di stipendio. Credo sarebbe un’ottima cosa, un ritorno a un passato parecchio remoto. I cittadini dell’antica Atene mica lavoravano, per quello c’erano gli schiavi, ma si dedicavano allo studio, al loro miglioramento personale e alla politica (chissà, magari ci pensano anche quelli “bravi”). Tuttavia tale situazione proporrebbe un secondo problema che attiene il nostro attuale sistema economico, sociale e politico, almeno quello occidentale, incardinato a concetti come la proprietà privata, il diritto di autore e via dicendo. Per fare in modo che il nostro “stile di vita” sopravviva sarebbe utile che i lavoratori di cui sopra detenessero il completo controllo sull’intelligenza artificiale che hanno addestrato e su quanto ha prodotto e produrrà. In fondo ad Atene gli schiavi erano di proprietà di qualcuno. Questo si potrebbe risolvere contrattualmente con il fornitore dell’algoritmo: io pago e qualsiasi prodotto è mio. Arriviamo così alla questione, che è di stretta attualità, se quelle decine di milioni di persone che stanno usando gratuitamente ChatGPT abbiano letto le condizioni e i termini di utilizzo di OpenAI. Sono certo che si tratta di una esigua minoranza, come quando domando a qualcuno se abbia letto i termini e le condizioni d’uso di Google.
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