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December 14 2023
“Perché non era lubrificata?”, “Come ha fatto Corsiglia a toglierLe gli slip?”, “Perché non ha urlato?”, “Perché non ha usato i denti?”, “Perché non si è divincolata?”, “Lei ha sollevato il bacino?”.
Queste sono alcune delle domande che il legale di uno degli imputati nel procedimento di violenza sessuale di gruppo - in cui è coinvolto anche il figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle - avrebbe rivolto alla ragazza italo-norvegese che, con la sua denuncia, ha dato avvio al processo penale.
L’Avvocato della parte offesa ha sbottato, alla stampa, parlando di interrogatorio da ‘medioevo’ che ha gettato la sua assistita in un turbinio di ricordi strazianti, umiliandola al punto che questa, uscendo dal Palazzo di giustizia, avrebbe dichiarato di sentirsi ‘svuotata’.
E c’è da capire questa ragazza, segnata a tal punto dalle violenze che denuncia di aver subìto, da aver tentato anche il suicidio.
Suicidio che, invece, ha compiuto l'attrice francese Emmanuelle Debever, accusatrice di Gérard Depardieu, gettandosi nella Senna il 7 dicembre, giorno in cui è stato trasmesso dalla tv France 2 il programma «Complément d'enquête», inchiesta sui casi di presunte violenze sessuali commesse dall'attore francese.
Alla violenza sessuale, infatti, non vi è rimedio e i solchi che lascia sono indelebili, scavando talmente in profondità da minare la psiche delle vittime per tutta la vita.
Allora è legittimo chiedersi se quelle domande così dirette, impertinenti e intime fossero opportune.
Certamente chi le ha formulate si appellerà al diritto di tutela dell’imputato e al fatto che tali quesiti siano coerenti con una linea difensiva che mira ad un proscioglimento, dimostrando la natura consenziente della ragazza.
Peccato, però, che è sempre il solito cliché, ogni volta che si assiste ad uno stupro: lei ci stava.
La panacea di tutti i mali, il salvacondotto universale per ogni porco che animalizza il rapporto sessuale e impone la sua virilità con la forza in un’ottica di dominio.
Il problema non è tanto quello degli accusati o dei loro legali, pagati per difenderli, ma è che questa scappatoia del presunto consenso abbia già faccio breccia in assurde sentenze come quella che escludeva lo stupro perché la vittima indossava jeans stretti (sul presupposto che non potevano essere sfilati senza la sua collaborazione) o perché ‘troppo brutta’, o perché – come avvenuto a Brescia – la cultura d’origine del violento ha escluso l’elemento soggettivo del reato, ossia la percezione illecita del gesto
Fa specie che l’Italia si indigni e si stringa compatta nella figura della povera Giulia Cecchettin, ma poi non sappia affrancarsi da ragionamenti di questo tipo, che ribaltano il piano di realtà e pongono ritualmente le vittime sul banco degli imputati.
Il fatto è che per ogni vittima non c’è sempre una Tina Lagostena Bassi (che assistette le sopravvissute alla strage del Circeo) e non tutte siano in grado di assicurarsi una difesa efficace.
Piuttosto che parlare di patriarcato e colpevolizzare indiscriminatamente l’intero genere maschile, si combatta per una giustizia coerente con la sua funzione, che tuteli la vittima di violenza in modo effettivo, ricostruendo i fatti senza umiliarla o colpevolizzarla, cercando con accanimento un qualsiasi indizio per concludere che, in fondo, c’è ‘stata’.