Don Gallo: quando non è più questione di genere/pensieri in libertà
FLORENCE E LE ALTRE – Ieri mia figlia di 12 anni, nel candore della sua età e del suo “essere una ragazzina di altri tempi”, come dice il mio compagno (quasi totalmente incapace nella tecnologia, creativa con carte di caramelle e fili d’erba, poco interessata alla tv nel senso che quando è stanca va a letto spontaneamente, senza se e senza ma), mi ha detto: “Quando sarò grande, se non saremo morti di fame (è la sua interpretazione, serena, della crisi, nota di mamma), potrò dire ai miei figli che io c’ero: c’ero nella grande crisi del 2013 e c’ero quando si è dimesso il primo Papa”.
Oggi il mio pensiero, un po’ malinconico, è che anche io posso dire che c’ero. C’ero quando don Gallo, con la sua forza dirompente, dimostrava che si può essere preti anche nell’unica maniera per me accettabile: senza pregiudizi e nel segno dell’amore e della solidarietà assoluti. E della libertà, senza colori politici o religiosi, solo giusta. Io ho un passato da frequentatrice di oratorio. Era il ’76, ero in seconda media, quando una mia compagna di classe, considerata dai più “leggera”, come si diceva un volta, mi invitò a una “riunione” in oratorio. Erano altri tempi, allora. I primi in cui si suonava la chitarra elettrica in chiesa. Oratorio maschile e femminile rigidamente separati da un alto cancello in ferro.
Da piccola facevo giocare le bambine; poi ho incominciato a tenere io le riunioni del sabato pomeriggio, e citavo la canzone di Vecchioni “Stranamore” quando dice “Ed il più grande/conquistò nazione dopo nazione,/e quando fu di fronte al mare si sentì un coglione/perchè più in là/non si poteva conquistare niente” per spiegare che le cose materiali hanno un limite, quelle “spirituali” no. Poi sono passata nel gruppo degli adolescenti, via il cancello, riunione al sabato sera con i ragazzi (!). E allora i pasti ai poveri di Fratel Ettore, assistenza ai tossicodipendenti in attesa di entrare in comunità, babysitteraggio ai bambini con situazioni familiari pesanti.
E l’organizzazione di un gruppo culturale con uno dei primi cineforum parrocchiali. E le discussioni con il don perché, prima della riunione serale si mangiava tutti insieme ma la domenica mattina erano le ragazze a lavare i piatti, mentre i maschi guardavano la partita. Tutto, sempre, nel segno, almeno per quanto mi riguardava, dell’accettazione e del non giudizio. Ora questo spirito non lo trovo più. E invece, ai miei occhi, don Gallo (e, per fortuna, altri sacerdoti come lui) aveva tutto questo. E molto, infinitamente altro, ancora. Ma sempre nello stesso segno. E c’ero quando questo grande uomo inviso alla Chiesa è mancato.
E potrò dire che c’ero quando, in questa situazione tutta italiana di totale caos politico e sociale, il ministro per l’integrazione è la congolese Cécile Kyenge, all’anagrafe Kashetu Kyenge. E le sue proposte di legge sono, finalmente, frutto del punto di vista di una persona che vive sulla sua pelle quello di cui si occupa; e le sue reazioni alle aberranti provocazioni, gesti misurati ed eleganti, ancorché decisi.
E, ancora, potrò dire che c’ero quando Amnesty International, proprio quell’organismo che ho sempre seguito con ammirazione perché capace di denunciare terribili soprusi e violazioni dei diritti in tutto il mondo, ha puntato, a ragione, l’indice anche contro la nostra-mia bell’Italia, Paese a rischio razzismo e totale mancanza di solidarietà per “vuoto legislativo”…
Insomma. Qui non si tratta di storie di donne, ma di continui messaggi contradditori, tra grandi eroismi e piccoli, meschini atti di egoismo… Forse, passatemi la battuta, meglio morire di fame!!!
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