Donnarumma, elogio del fischio libero

Gli appelli della vigilia sono caduti nel vuoto ed era difficile immaginare che potesse accadere diversamente. C'è chi si è addirittura spinto a definire teppisti i fischiatori contro Gigio Donnarumma nella notte del ko della nazionale di Mancini al cospetto della Spagna e chi ha paragonato quei buu al razzismo da stadio e agli ululati animaleschi riservati a Koulibaly a Firenze e a Vlahovic a Bergamo, ultimi due casi in ordine di tempo. Tutto molto esagerato e anche un filino ipocrita. E' vero che ad andarci di mezzo è stata l'Italia, incolpevole spettatrice del regolamento di conti tra i portierone e i suoi ex tifosi, ma quello che è andato in scena a San Siro è stato semplicemente lo sfogo di amanti traditi che non hanno perdonato.

Detto come premessa che un conto è il fischio, un altro sono insulti e minacce (cosa che a Donnarumma sono stati riservati in altri momenti e che vanno condannati senza alcun distinguo), cosa ci si doveva attendere di diverso dal ritorno di Gigio nello stadio che è stato suo fino a maggio? E che avrebbe potuto esserlo a lungo, visto che i tifosi del Milan lo avevano eletto a beniamino avendolo visto nascere calcisticamente con quella maglia addosso? Storia interrotta da una trattativa per il rinnovo nemmeno mai cominciata e che ha privato il club non solo di un portiere fenomenale, ma anche di qualsiasi incasso perché l'ex numero 99 - che continua a parole a professare riconoscenza e tifo per quella squadra - ha creato le condizioni per poter andare via a zero lucrando così sui guadagni propri e del procuratore che lo rappresenta.

Insomma, il mix perfetto perché San Siro attendesse Donnarumma per ripagarlo con la moneta della contestazione e del fischio. Che rappresenta una delle forme di dissenso ammesse, fino a prova contraria, in quell'arena piena di emozioni e trasporto che sono gli stadi o i palazzetti. A meno di non voler sostenere che si debba stare dentro uno stadio come a teatro salvo poi doversi rimangiare tutto perché nei più importanti e glamour teatri di tutto il mondo l'arte del fischio è praticata, eccome.

San Siro non ha tifato contro l'Italia. Anzi. L'ha sostenuta dal primo al novantesimo minuto e alla fine l'ha applaudita comprendendo che la meravigliosa striscia da imbattibili prima o poi sarebbe dovuta finire. San Siro ha espresso il suo pollice verso nei confronti di Donnarumma e della sua scelta di preferire i milioni del PSG a quelli del Milan ma, soprattutto, ha punito il modo in cui l'addio è stato confezionato tra silenzi, omissioni, mezza promesse e fughe di nascosto. Ha rumorosamente concentrato in una notte un sentimento popolare abbastanza condiviso e che porta alla radice di una delle ragioni della disaffezione progressiva verso questo calcio fatto solo di ingaggi multi milionari, bandiere che non sventolano più, procuratori (pre)potenti e tifosi trattati come clienti con la pretesa che non possano più nemmeno avere un cuore.

Davvero troppo. La prova dell'insostenibilità dei pistolotti moralistici contro il pubblico di San Siro è contenuta nella parole del ct Roberto Mancini, che era ovviamente dispiaciuto per la serata ne suo complesso, ma che ha tenuto a precisare che i fischi a Donnarumma li avrebbe capiti in una partita di club ("magari in un PSG-Milan" ha detto), meno in nazionale. Può anche essere, ma la sintesi è che in fondo la contestazione non è parsa così fuori contesto nemmeno a lui.

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