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March 23 2016
Per Lookout news
In Belgio, nazione federale in cui convivono le due entità di valloni e fiamminghi, vige una stretta laicità dello Stato, unita al pieno supporto alla multiculturalità e alla libertà religiosa di impostazione liberale. Tali libertà sono state concesse senza remore anche alla cospicua comunità islamica, che oggi rappresenta la seconda comunità religiosa per estensione nel Paese.
La comunità musulmana in Belgio è tutt’altro che ghettizzata ed è anzi ricca di una vasta rete di associazioni delle più varie specie: sportive, culturali, educative, artistiche. Attualmente un cittadino di Bruxelles su tre è musulmano. Secondo alcune statistiche nel 2020 i musulmani potrebbero addirittura arrivare a costituire la maggioranza nel Paese. Per converso, in Belgio è anche alto il numero di conversioni all’Islam, con un tasso tra 1.000 e 1.200 annue per un totale di 30.000 convertiti.
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Non è molto diversa la situazione in Olanda, dove sono presenti ancora più musulmani (oltre 900.000) e dove la loro percentuale tra gli abitanti di Amsterdam è al 24%. Come a Bruxelles, dove la percentuale è al 28%, anche nella capitale dei Paesi Bassi vi sono quartieri retti dalle rigide regole del fondamentalismo e, dunque, off limits per gli occidentali.
Le contraddittorietà nel Benelux
La contraddittorietà raggiunta nell’area che una volta era chiamata Benelux è tale che uno dei convertiti olandesi, Arnoud van Doorn, ed ex dirigente del Partito per la Libertà (terzo partito del Paese) che ha forti posizioni antislamiche, sostiene: “Ho preso l’impegno solenne di lavorare giorno e notte al servizio dell’Islam per espiare i miei precedenti peccati. Spero che Allah accetterà il mio pentimento e mi perdonerà”.
D’altro canto in Belgio l’amministrazione della Vallonia, per rispettare la diversità religiosa musulmana, ha rinominato le vacanze scolastiche di Ognissanti, Natale, Quaresima e Pasqua con neutri nomi secolarizzati. Un altro convertito, il belga Jean-Louis Denis, già noto come predicatore di odio religioso, è stato arrestato nel dicembre scorso per aver reclutato miliziani per la guerra in Siria.
In generale, l’area del Benelux è quella che in Europa ha fornito il più alto numero di foreign fighters ai gruppi jihadistiche combattono tra il Medio Oriente e il Nord Africa. Oltre il 70% dei musulmani olandesi ritiene che questi jihadisti, andati in Siria per imporvi sharia e settarismo uccidendo cristiani e credenti di altre minoranze religiose, siano degli “eroi”. D’altronde, la prima donna kamikaze che si è fatta esplodere in un attentato a Baghdad nel 2005 è stata la convertita belga Muriel Degauque.
Il Benelux è dunque una terra fertile per l’Islam radicale, oltre che per le patate e i tulipani? In Belgio il riconoscimento ufficiale della religione islamica del 1974 ha portato all’introduzione di corsi di religione islamica nei programmi scolastici, compresa la preparazione di cibo halal, e alla costruzione di molteplici moschee. Oggi esistono anche decine di moschee clandestine, rette da imam altrettanto clandestini, predicatori di odio antioccidentale e istigatori dei giovani che vanno poi a combattere in Siria, o di cittadini inermi a Madrid, Londra, Parigi, Bruxelles. Un ulteriore problema è rappresentato dal fatto che anche buona parte degli imam ufficiali e regolarmente registrati ha delle condotte poco “trasparenti”. Se non istigano apertamente, contribuiscono comunque a formare quell’humus di fondamentalismo e antioccidentalismo su cui poi trovano fertile terreno quelli clandestini.
Il ruolo dell’Arabia Saudita e della Turchia
La maggioranza di questi imam si è formata in Arabia Saudita, vale a dire il Paese che è patria del credo fondamentalista wahabita, ispiratore del jihadismo e del terrorismo musulmano. Da decenni l’Arabia Saudita finanzia la creazione di madrasse, la stampa dei libri di testo e la formazione di predicatori che hanno diffuso mondialmente la dottrina estremista wahabita. Il risultato è che questa predicazione è giunta ovunque, portando alla nascita e alla proliferazione di gruppi terroristici che stanno seminando stragi in Asia, Africa, Medio Oriente e in Occidente. E non a caso Riad ha finanziato la costruzione negli anni Settanta della Grande Moschea di Bruxelles.
La penetrazione del radicalismo islamico nel Benelux non è comunque riconducibile esclusivamente agli imam formati in Arabia Saudita, o secondo il credo wahabita. La maggioranza dei musulmani che vivono in quest’area d’Europa provengono infatti dal Marocco e dalla Turchia. È fondata da turchi e ha un rettore turco, Ahmed Akgündüz, l’Università Islamica di Rotterdam. Privata e con finanziamenti da donatori, è stata riconosciuta nel 2010 dai Paesi Bassi per la formazione di imam. Sul suo sito l’Università dichiara di essere votata al multicultularismo interreligioso.
Eppure, nel 2013, il rettore Akgündüz, con il pieno appoggio della sua università, ha rilasciato un libello in sostegno del presidente turco Recep Tayyip Erdogan in cui affermava che i contestatori del suo governo (all’epoca delle proteste a Gezi Park) erano “malvagi ostili all’Islam con uno stile di vita occidentale, nemici della patria e della religione, sostenuti da potenze straniere come Israele e l’Europa”. Mentre in un libro sulla legge islamica pubblicata sempre dalla sua università per la formazione degli imam, aveva scritto che la lapidazione (di donne adultere, per consuetudine) è una pena prevista dall’Islam che, d’altronde, riconosce al marito il diritto di punire la moglie in casi di disobbedienza. In pratica Akgündüz riconosce la legittimità della sharia per come viene interpretata in quei Paesi wahabiti – in primis l’Arabia Saudita – dove la lapidazione è tuttora praticata.
Conclusioni
L’apertura a un mondo di così fortemente diversa caratterizzazione culturale e religiosa come l’Islam, per quanto doverosa, può essere problematica e necessitare delle opportune accortezze. Ma l’apertura al wahabismo, alla predicazione antioccidentale, più che di accortezze necessita di consapevolezza del pericolo. Perché il punto dolente e critico è il passaggio del biasimo del lassismo dei costumi occidentali – fatto anche da Papa Francesco – dal ripristino e dalla ricerca di valori alternativi nella propria comunità al fanatismo della punizione salvifica degli iniqui.
Del grande pericolo sembrano essersi resi maggiormente conto i Paesi Bassi con una stretta di gestione e controlli, piuttosto che il Belgio rimasto in un limbo di ambiguità. D’altronde, l’Olanda ha dalla sua parte la Royal Dutch Shell, tra i primi quattro colossi petroliferi al mondo, che la tiene libera da ingerenze e pressioni dei Paesi del Golfo.