Politica
August 07 2023
Dopo la denuncia del Ministro della Difesa Guido Crosetto, la Procura della Repubblica di Perugia ha aperto un fascicolo sulla presunta centrale di dossieraggio abusivo che avrebbe operato addirittura all’interno della Direzione nazionale antimafia. A finire sotto inchiesta per accesso abusivo a sistema informatico, un sottoufficiale della Guardia di Finanza addetto al Nucleo speciale di polizia valutaria. La notizia dell’indagine da parte della Procura perugina, su presunte informazioni riservate acquisite da banche dati pubbliche, in danno anche del ministro della difesa Guido Crosetto, è al centro della cronaca di questi giorni e il capo della stessa procura, Raffaele Cantone, ha fornito “precisazioni e puntualizzazioni attraverso un comunicato”, rispettando il principio di segretezza tipico delle indagini preliminari. L’indagine sarebbe scaturita da una dettagliata denuncia presentata nell’ottobre 2022, a Roma, dal Ministro della Difesa Guido Crosetto, che aveva adito le vie legali dopo essere venuto a conoscenza della pubblicazione, su mezzi di stampa, di notizie del tutto riservate che avevano per oggetto la sua precedente attività professionale. La Procura capitolina era subito arrivata ad identificare, iscrivendolo nel registro investigativo, un sottufficiale della Guardia di Finanza, all’epoca in forza al Nucleo di Polizia Valutaria di Roma e distaccato presso la Procura nazionale Antimafia in qualità di esperto presso il c.d. gruppo “Segnalazioni di Operazioni Sospette” (SOS). Dopo la contestazione dell’art. 615 ter del codice penale, ovvero del reato di “Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico”, il fascicolo era stato trasmesso all’Ufficio inquirente di Perugia nello scorso aprile, vista la competenza della procura umbra ad indagare, per l’art. 11 del codice di procedura penale, su fattispecie di reato riguardanti uffici giudiziaria romani.
Sull’allarmante vicenda abbiamo interpellato il professore Salvatore Sica, ordinario di diritto privato all’Università di Salerno ed esperto di questioni attinenti la privacy.
Professore Sica, intanto inquadriamo la fattispecie penale.
«L’art. 615 ter del codice penale, che sembra alla base dell’indagine perugina, prevede che chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni. La condotta è aggravata se commessa da un pubblico ufficiale, come sembrerebbe in questo caso, con innalzamento della pena sino a 5 anni di reclusione».
A proposito di maggiore gravità…
«La previsione normativa è tanto più significativa se riferita a banche dati pubbliche contenenti dati particolarmente significativi come in questo caso, ed anzi essa è il miglior presidio dei diritti dei cittadini. Più chiaramente è ammissibile che vi siano dati riservati soprattutto per finalità di prevenzione o di investigazione ma la loro peculiare natura impone un supplemento di tutela e protezione».
Sembra trovarsi nel campo del c.d. “dossieraggio”: ci spieghi di cosa si tratta.
«La differenza tra raccolta di dati e “dossieraggio” è la liceità della raccolta e la finalità di essa; i dati possono essere raccolti e conservati unicamente per gli scopi e con i modi previsti dalle leggi di settore; se invece sono acquisiti in maniera illecita e con l’obiettivo di un uso diverso da quello consentito siamo di fronte ad un dossieraggio perseguibile penalmente e civilmente».
Oltre al Ministro Crosetto, vittime di accessi abusivi sono Matteo Renzi, Matteo Salvini, Rocco Casalino (portavoce di Giuseppe Conte quando era premier) e Francesco Totti.
«E’ evidente che la raccolta illecita di dati riservati di personaggi famosi non può che avere scopi “diversi”. In questo caso non c’entra proprio nulla la nota distinzione tra personaggi pubblici e comuni cittadini, che viene invocata, rispetto al diritto di cronaca, per attenuare la privacy dei primi. E questa è tutta un’altra storia».
La vicenda è allarmante…
«Francamente sì, anche se per ora commentiamo soltanto riflessi di un’indagine di cui non conosciamo i dettagli».
…e tocca i gangli centrali della nostra democrazia.
«Se si accertasse che il dossieraggio aveva di mira il danno all’immagine pubblica dei soggetti pubblici interessati o il loro condizionamento, non c’è dubbio che sarebbe in pericolo la nostra democrazia. Il tema è più ampio: siamo di fronte -da tempo- ad un corto circuito della democrazia: basti pensare al circolo vizioso che si è determinato tra un certo tipo di stampa che si erge a giudice, a censore morale, magari utilizzando stralci di intercettazioni non penalmente rilevanti con evidenti finalità politiche o di discredito».
Il cortocircuito si allarga…
«Credo che questa situazione imponga rimedi urgenti, lasciando spazio soltanto ad un sano giornalismo di indagine, che invece, in concreto, nel nostro Paese latita»
Quanto sta emergendo prende origine dalle mutate tecniche di comunicazione oggi in uso.
«Indubbiamente la moltiplicazione delle forme di circolazione dei dati è proporzionale ai rischi di usi contrari alla legge. Sotto questo profilo non va poi sottovalutato che la Rete amplifica la possibilità dell’abuso ed i social sono il canale di acquisizione di una mole smisurata di dati utilizzati spesso impropriamente dai privati».
Sembra che più siano sofisticate le tecniche di comunicazione, maggiori siano i rischi di intrusione…
«Va però detto che se oggi c’è un’indagine è perché vi sono adeguati livelli di protezione e soprattutto di tracciatura del trattamento dei dati. In sostanza, se si è potuto risalire al presunto autore (oggi soltanto “indagato”, nda) per quanto è dato di sapere, è perché vi sono strumenti che permettono di individuare accessi abusivi e perseguirli: questo è l’aspetto più rassicurante della vicenda e sotto tale profilo è bene che a vigilare sul sistema vi sia comunque anche un organo della magistratura».
Se vengono violati i segreti delle persone importanti, come dovremo sentirci noi cittadini della porta accanto?
«Lo dico con chiarezza ed andrebbe ribadito con decisione: la privacy dei comuni cittadini non esiste! Questo punto andrebbe spiegato alle giovani generazioni che invece, per come evidenziato da un’indagine di qualche tempo fa del Laboratorio che dirigo nell’Università di Salerno, non tengono affatto in conto il pericolo di perdere per sempre i propri dati»..
La risposta delle istituzioni non si è fatta attendere…
«Va dato merito al Garante della Privacy che sta portando avanti una linea coraggiosa e netta su questi temi. Ovvio che, tuttavia, il caso di cui ci occupiamo è molto altro, anche se è pur sempre epifenomeno dei guasti della società della comunicazione intesa come Far West».
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Salvatore Sica, salernitano, classe 1961, è ordinario di Istituzioni di Diritto Privato e titolare di Diritto dello Sport nella “Scuola di Giurisprudenza” dell’Università degli Studi di Salerno ed avvocato e partner di uno studio legale con sedi a Salerno e Roma. Già Membro del Consiglio Nazionale Forense e V. Presidente della Scuola Superiore dell'Avvocatura nonché V. Presidente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa. Siede nel comitato scientifico delle Riviste “Il Diritto dell'Informazione e dell'Informatica”, “Rivista di Diritto ed Economia dello Sport”, "Rassegna di diritto civile", "Diritto Mercato e Tecnologia". Collabora, come giornalista-pubblicista, con diversi quotidiani nazionali e canali televisivi.