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October 08 2017
Avete mai letto niente di Kazuo Ishiguro? La domanda campeggia sul sito del Premio Nobel, e ogni utente è invitato a cliccare sul sì o sul no. Io ho contribuito, mio malgrado, a far alzare la colonnina del no, che al momento del mio voto batteva il sì 69 a 31.
Eppure il premio all'autore britannico, di nascita giapponese, è stato interpretato da molti commentatori come un ritorno al mainstream: narrativa da grande pubblico. Tanto è vero che molti di coloro che non hanno letto niente di Ishiguro hanno, proprio come me, visto almeno un film (sic!) tratto da un suo romanzo. Io ne ho visti due: Quel che resta del giorno e Non lasciarmi, entrambi meravigliosi.
Diciamo che rispetto al cinese Mo Yan, che vinse nel 2012, all'ucraina Svetlana Alexievich, premiata nel 2015, e alla romena Herta Müller che prese il Nobel nel 2009, per citare alcuni dei più recenti, quello di Ishiguro è certamente un nome familiare a moltissime persone, anche fra i non lettori.
Lo scorso anno il premio per la letteratura, assegnato a Bob Dylan, era stato ancora più pop, e per contro assai più snob la reazione del premiato rispetto a quella che ha avuto Ishiguro quando l'ha saputo: "Ma è una bufala?", pare abbia chiesto l'autore. Dylan invece, lungi dal ritenere la notizia del suo Nobel incredibile, non l'aveva proprio trovata di suo interesse, tant'è che quelli dell'Accademia ci misero un bel po' a scovarlo per comunicargliela e anche allora la reazione fu meno che tiepida.
L'Italia comunque era già avanti: risale al 2013 la candidatura al premio per il menestrello nostrano, Roberto Vecchioni, sostenuta da Enrico Tiozzo, professore di Letteratura presso un'università svedese, tra le persone che ricevono dall'Accademia di Svezia l'invito a segnalare un candidato per il premio. Ci fu polemica tra chi ci credeva e chi era scettico. Scopriremo la verità nel 2063 perché le candidature restano segrete per 50 anni. Per chi vuol divertirsi un po', qui c'è l'archivio consultabile delle nomination fino al 1966.
Ma che strada sta prendendo il premio più ambito di tutti? Sta diventando un riconoscimento internazional-popolare o rappresenta ancora l'élite nei diversi ambiti nei quali viene assegnato? La risposta non è univoca. Uno dei premi che ha suscitato più polemiche negli anni passati è stato il Nobel per la Pace.
Il comitato che lo assegna ha più di una volta mancato il bersaglio: lo ha assegnato o troppo presto, come nel caso di Obama, che poi tanta pace non l'ha fatta, o magari a qualcuno che si è successivamente rivelato non del tutto meritevole del premio, è il caso di Aung San Suu Kyi, che lo ha ricevuto "per la sua lotta non violenta per la democrazia e i diritti umani" ma poi, in tempi recenti, ai diritti umani della minoranza musulmana del proprio paese, i Rohingya, non pare aver badato troppo.
Quest'anno per non sbagliare, hanno premiato l'ICAN, una campagna internazionale per l'abolizione delle armi atomiche, attività senza dubbio benemerita di cui c'è un gran bisogno, visto che al momento nel mondo pare ce ne siano in circolazione quasi 15.000, alcune nelle mani di personaggi non affidabilissimi, come Kim Jong-un. E poi premiare un'organizzazione invece che una persona, opzione peraltro possibile solo per il premio per la pace, mette al riparo da possibili ripensamenti del premiato, da sue scomode prese di posizione future e anche da eventuali dissociazioni della personalità.
Più facile azzeccare con i premi scientifici, verrebbe da pensare: lì non ci sono di mezzo questioni politiche, la scienza è rigorosa e non si presta a interpretazioni. Se uno ha fatto delle scoperte fondamentali per la cura della malaria, come la ricercatrice Youyou Tu, che ha ricevuto metà del premio per la Medicina nel 2015, qualsiasi cosa possa fare dopo non potrà intaccare questo risultato.
Ma anche nella medicina ci sono campi più popolari di altri. Per dire, il ruolo della cellula dendritica nell'immunità adattativa, che è valso mezzo Nobel a Ralph M. Steinman nel 2011, è decisamente meno sexy delle cellule staminali pluripotenti indotte che hanno fatto vincere i ricercatori John B. Gurdon e Shinya Yamanaka l'anno successivo.
Molti però fanno notare che c'è un difetto di fondo nascosto nella modalità stessa con la quale il premio Nobel viene assegnato. Il problema principale, che si dimostra un limite enorme soprattutto nelle discipline scientifiche, è il fatto che il premio non può essere diviso tra più di tre persone.
In letteratura questo è raramente un ostacolo, visto che la scrittura è forse la più solitaria delle arti, e nel premio per la pace il limite viene superato dal fatto che è possibile premiare un'intera organizzazione, in cui confluiscono gli sforzi di una moltitudine di persone (oltre all'Ican lo hanno ricevuto per esempio Medici senza frontiere, l'Intergovernmental Panel on Climate Change, e addirittura le Nazioni Unite e l'Unione Europea).
Ma quando si parla di chimica, fisica e medicina è davvero possibile che una ricerca e una scoperta rivoluzionaria siano riconducibili al massimo a tre persone? Il premio per la Fisica assegnato quest'anno a tre scienziati per la scoperta delle onde gravitazionali, o meglio per essere riusciti a dimostrarne l'esistenza postulata da Albert Einstein, è un esempio emblematico di come il limite dei tre possa creare imbarazzo.
Come spiega con una bella analisiScientific American, a meritare il premio erano in realtà quattro ricercatori: Rainer Weiss, Kip Thorne, Ronald Drever e Barry Barish. I primi tre sono quelli che hanno concepito l'antenna LIGO, che ha reso possibile la scoperta, il quarto ha contribuito in maniera determinante nella ricerca.
La scoperta fu annunciata a febbraio del 2016, appena troppo tardi perché i suoi autori potessero essere candidati al Nobel in quell'anno (la scadenza per presentare le candidature è il 31 gennaio, altro limite non da poco).
Il Nobel era dunque atteso per quest'anno, ma come risolvere il problema dei tre premiati quando i candidati realmente meritevoli erano quattro? Purtroppo è stato il destino a togliere le castagne dal fuoco all'Accademia delle Scienze di Stoccolma: a marzo di quest'anno Ronald Drever è morto, e a chi è deceduto il premio non può essere assegnato, a meno che la sua morte non sia successiva all'annuncio del premio, solo a queste condizioni il Nobel può essere attribuito postumo.
Pensare di premiare un massimo di tre persone per una scoperta scientifica rischia in ogni caso di essere riduttivo e probabilmente anacronistico: gli scienziati di oggi non lavorano più in solitaria chiusi ciascuno nel proprio laboratorio, piegato su un microscopio senza l'aiuto di nessuno. Oggi la ricerca è fatta di collaborazioni, spesso internazionali, che coinvolgono gruppi anche molto numerosi di persone. Chissà quanti eroi non celebrati si nascondono nei laboratori di tutto il mondo. Tra loro comunque magari ci sarà un premio Nobel del futuro, dal momento che aver lavorato nello stesso laboratorio di un premiato pare aumenti parecchio le chance di vincere il premio a propria volta.
Comunque proprio come i nostri professori sembrano nel ricordo molto più severi di quelli che oggi toccano in sorte ai nostri figli, e probabilmente lo erano, anche i membri dei diversi comitati che assegnano i premi (Accademia reale svedese delle scienze per il Premio Nobel in Fisica e Chimica, il Karolinska Institutet per il Premio Nobel in Medicina, l'Accademia Svedese per il Premio Nobel in Letteratura e un Comitato eletto dal Parlamento Norvegese per il Premio Nobel per la Pace) sono diventati sempre meno selettivi.
Nel passato è successo 49 volte che un premio non sia stato assegnato, perché non si è trovato un candidato meritevole di tale onorificenza nel proprio campo. L'ultima volta è capitato nel 1972 quando non si trovò un destinatario per il premio per la Pace. Poi nel 1973 sembrò una buona idea darlo a Henry Kissinger, e da allora non sembra più esserci stata alcuna difficoltà ad assegnare tutti i premi tutti gli anni.