Draghi e la voglia di fermare la Serie A (o chiudere gli stadi)

La telefonata è stata cordiale nei toni ma certamente difficile da digerire per il calcio italiano, anche se viene definita “conoscitiva” e senza ricadute immediate. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, nel bel mezzo della quarta ondata della pandemia ha infatti alzato il telefono e ha chiamato il numero uno della Federcalcio, Gabriele Gravina. Tema della chiacchierata: valutare lo stato della situazione e chiedere quali interventi fossero possibili, partendo anche dall’ipotesi di sospendere tutti i campionati, a cominciare dalla Serie A, per qualche settimana con valutazioni non certo lusinghiere su quanto visto negli stadi nel giorno della Befana.

Fermare i tornei e aspettare il passaggio del picco? Gravina ha spiegato come – Serie A a parte – tutto il resto dell’attività sia al momento congelata perché Serie B, C e a scendere le altre categorie si sono prese una pausa di riflessione cercando di uscire dalla morsa di contagi che si contano a centinaia. Il massimo campionato, invece, non si può permettere uno stop anche solo temporaneo, se non altro per questioni di calendario visto che l’attività è così compressa da non consentire di immaginare una sosta forzata.

Questo Gravina ha risposto a Draghi, che non ha rilanciato né minacciato interventi dall’alto, difficili da digerire in un momento storico in cui l’indicazione è tirare dritto, puntare tutto sulla campagna vaccinale ed evitare choc all’economia italiana di cui il calcio, con i suoi miliardi di fatturato (e i suoi debiti) fa parte integrante. Però al presidente del Consiglio e ai suoi ministri, oltre che tecnici, non è piaciuto per nulla come viene gestita la presenza degli spettatori dentro gli stadi anche dopo la riduzione della capienza al 50%. Poco distanziamento, soprattutto nei settori più caldi, mascherine indossate con una certa riluttanza e inquadrature a volte impietose: ecco perché Draghi ha fatto capire che su questo fronte ci potrebbe essere un nuovo intervento del Governo dopo aver sperato in una sorta di auto gestione (sempre riduttiva) delle stesse società, così da gestire meglio la logistica dentro gli impianti.

I club sono in trincea. Seppure con qualche franco tiratore – come già accaduto all’epoca del lockdown quando c’era chi tifava per la sospensione definitiva del campionato -, l’indicazione è che si deve andare avanti senza alcun tentennamento. Nessun fermo e l’idea che dall’incontro di mercoledì 12 gennaio debba uscire anche un accordo quadro che consenta di superare le interpretazioni ad squadram delle autorità sanitarie locali per garantire il finale di stagione. L’ipotesi di fermarsi viene rifiutata, anche perché nessun altro grande torneo europeo lo sta facendo. Quella di chiudere gli stadi come l’anno scorso è vista come fumo negli occhi, anche perché non ovunque succede: in Premier League la capienza è il 100% e in Spagna si è scesi al 50% mentre la Bundesliga tedesca, dopo qualche limitazione, è ora ferma per la tradizionale sosta d'inverno. In Francia l'ultimo provvedimento ha ordinato la capienza massima a 5000 spettatori. La preoccupazione, però, è più ampia: i presidenti hanno capito che dallo Stato non arriverebbero soldi come ristori, esattamente come accaduto negli ultimi 18 mesi. Dunque si va avanti. Il rischio è, a breve, un muro contro muro con la politica.

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