Il drone abbattuto e l'aereo russo in Estonia, incidenti di percorso che possono far esplodere tutto
La vicenda del drone americano abbattuto dall’aviazione russa si può interpretare come una scaramuccia inevitabile in tempi come questi, soprattutto in un’area geografica come quella del Mar Nero, stretta tra la Turchia, dove gli Usa hanno basi militari attive, l’Europa dell’Est e i territori contesi da russi e ucraini.
Già la ricostruzione dei fatti è complessa, poiché c’è chi sostiene che lo MQ-9 Reaper americano sia stato abbattuto, e chi riferisce che la coppia di Sukhoi 27 che l’ha avvicinato l’avrebbe semplicemente danneggiato, costringendo i piloti Usa ad abbatterlo per evitare una perdita di controllo pericolosa e, soprattutto, che i resti potessero finire in mani russe. Perché il fatto determinante è che fosse un drone per intelligence, ovvero per la raccolta di informazioni, fossero esse di tipo fisico come il riscontro della posizione di unità navali o altro, oppure elettromagnetico, cioè emissioni che dimostrano la presenza di radar o altri sistemi di trasmissione. Il tutto, probabilmente, per fornire a Kiev un altro vantaggio. Sta di fatto che nella prima mattinata di ieri un caccia Sukhoi Su-27 russo sarebbe entrato volontariamente in collisione con il Reaper mentre questo era in volo sul Mar Nero seppure rimanendo nello spazio aereo internazionale, anche se a soli sessanta chilometri dalla base navale russa di Sebastopoli. Una distanza enorme per qualsiasi congegno ottico, ma praticamente nulla per le emissioni radio, facili da rilevare.
Sulla dinamica dell’incidente la narrazione varia da quanto riferito dai russi, che parlano di avaria indipendente dalla loro presenza, fino alla versione Usa, secondo la quale uno dei piloti avrebbe scaricato carburante davanti al drone e poi danneggiato la sua elica, di fatto abbattendolo. Secondo il generale Patrick Ryder, addetto stampa del Pentagono, la coppia di velivoli militari russi avrebbero volato intorno al drone almeno per 40 minuti minuti prima che avvenisse la collisione. Non è certamente una novità che piloti di aerei militari affianchino grandi droni per osservarli, quello che rende questa storia diversa è la “provocazione” russa, che tuttavia non può di per sé costituire un valido motivo per una escalation militare tra le due potenze nucleari. Ma, semmai, distogliere l’attenzione occidentale da quanto avviene in Donbass e sul fronte della guerra.
Il generale James Hecker, a capo dell’aviazione Usa in Europa, ha dichiarato: “Il nostro MQ-9 stava conducendo operazioni di routine nello spazio aereo internazionale quando è stato intercettato e colpito, provocando un incidente e la completa perdita del mezzo, poiché a causa dei danni subiti abbiamo dovuto farlo precipitare nel Mar Nero”. Il ministero della Difesa russo ha invece negato di essere entrato in contatto con il drone, affermando che i due Su-27, probabilmente decollati da una base della Crimea, “si sono affrettati a intercettare e identificare l’intruso” dopo averlo rilevato mentre sorvolava il Mar Nero con i sistemi di identificazione spenti, violando i confini dello spazio aereo temporaneamente segregato dalla Difesa russa perché teatro operativo dell’operazione militare speciale”. Infine, Mosca ha confermato che il pilota coinvolto nell’incidente è atterrato senza danni, anche se non è stato detto dove.
Gli americani hanno sempre giustificato la presenza dei droni nello spazio aereo dell’area con la necessità di aiutare le forze aeree romene (e non soltanto quelle, anche quelle di Estonia, Polonia e Grecia), a mantenere il miglior controllo possibile dello spazio aereo circostante. Ma certo questo potrebbe valere per la costa ovest, raggiunta spesso da MQ-9 in decollo dalla base di Sigonella, in Sicilia, non certo per la parte centrale del mare dove l’incidente è avvenuto, circa 500 chilometri più a est. Perché dunque gli Usa fanno volare questi droni così lontano dal fronte e dai territori alleati? La risposta è che il momento è perfetto per venderli, dimostrando ai potenziali clienti la loro efficacia, e al contempo – ma non si può dimostrare – per aiutare con informative puntuali le forze ucraine dando loro grande vantaggio.
Ora però è necessario recuperare il relitto, poiché a bordo ci sono sistemi elettronici con tecnologia classificata e certo lo sforzo americano per riuscirci non sarà di poco conto, stante che i russi ben difficilmente daranno l’assenso a unità navali Usa per entrare in quelle acque. Di fatto, seppure il Dipartimento di Stato abbia convocato l’ambasciatore russo per riferire sull’episodio, il segretario alla Difesa americana Lloyd Austin non ne ha ovviamente ancora potuto discutere con il suo omologo russo Sergei Shoigu. Ma la posizione americana è ferma su un punto: per loro l’area segregata dell’Operazione Speciale non esiste e l’Usaf continuerà a volare in quello che viene definito spazio aereo internazionale.
Non è certo il primo drone che gli Usa perdono: nel 2019 uno RQ-4 Global Hawk (più grande di quello caduto nel Mar Nero) mentre volava per dimostrazione sopra lo stretto di Hormuz, forse per mano iraniana, spingendo il presidente Donald Trump a minacciare una ritorsione militare che tuttavia non avvenne mai: gli Usa dissero che fu per evitare vittime civili, gli iraniani negarono di aver provocato l’incidente.
Intanto questa mattina una pattuglia formata da velivoli Eurofighter Typhoon del Regno Unito e della Germania ha intercettato un velivolo russo che decollato da San Pietroburgo per Kaliningrad ha “tagliato” la sua rotta senza avvertire il controllo aereo Estone. I Typhoon occidentali hanno identificato il velivolo come uno Iliushin 78 Midas, ovvero un velivolo per trasporto militare e rifornimento, che volava senza alcuna scorta e che è poi rientrato in spazio aereo russo, mentre un altro “scramble” si rendeva necessario per identificare uno Antonov 148 che stava per ripetere lo stesso errore.
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