Due giorni, una notte, e quei 1000 euro
I Dardenne hanno fatto un bel film. Un altro. Probabilmente vinceranno la Palma d’oro, la dodicesima in sette anni.
La storia è semplice come il titolo Deux jours, une nuit (Due giorni, una notte). Sandra (Marion Cotillard, che piange sempre e si fa di Xanax come Blue Jasmine: la resa è però diversa) viene lasciata a casa dal lavoro. Lo può riprendere a una condizione: convincere i sedici dipendenti rimasti a rifiutare il bonus di mille euro annui (dovrebbero coprire, a stento, le tre ore settimanali in più che saranno costretti a fare). Ha un solo weekend a disposizione.
Niente di più, per un’ora e mezza che fila veloce (la durata media dei film in concorso quest’anno è più o meno 137 minuti) e dove tutto è perfettamente a fuoco: i tempi, il lavoro, il clima sociale senza orizzonte, il bisogno confuso con l’elemosina, i sentimenti che sono un appiglio e però non bastano. (Fine del momento dibattito da cineforum.)
Ma il punto è un altro. Il film è finito meno di un’ora fa, e io lo sto già difendendo.
«Che esagerazione: è ovvio che, tra rinunciare a mille euro e salvare il posto a una persona, tutti farebbero la seconda cosa», mi è stato detto poco fa. «Io non conosco nessuno che non possa rinunciare a mille euro.»
«Beato te», ho detto io.
«Con quei soldi mi ci pago un anno di riscaldamento», replica a Sandra uno dei colleghi. Tutto vero, ma per alcuni vederlo al cinema è troppo banale.
È quello che sta succedendo da noi di questi tempi: far finta che vada tutto bene, siamo fighi, i soldi non servono, il lavoro? spacca. Coliamo a picco, ma con giacche firmate, mangiando solo mozzarelle di Eataly.
Immagino lo facciano pure tanti dei critici che qui già si lamentano dei Dardenne: avranno fatture non pagate per i prossimi tre anni, ma mica servono mille euro, per mangiare stasera un piatto di ostriche.
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