Social network
September 04 2024
Secondo un articolo pubblicato sul quotidiano francese Libération la scorsa settimana, Pavel Durov avrebbe condotto nel corso degli anni un’attività di fitta collaborazione con i servizi segreti francesi.
Il creatore di Telegram avrebbe ammesso, durante un interrogatorio condotto dalla magistratura francese di aver aperto da tempo un canale di collaborazione ufficiale con l’agenzia di intelligence francese Direction générale de la Sécurité intérieure (DGSI), ovvero il servizio di controspionaggio di Parigi.
Le attività richieste a Durov sarebbero riconducibili essenzialmente alla fornitura di informazioni veicolate attraverso Telegram da cellule terroristiche islamiche operanti sul territorio francese. Secondo quanto dichiarato da Durov tali informazioni avrebbero consentito l’arresto di numerosi terroristi, evitando, di conseguenza, la realizzazione di molteplici attacchi terroristici in territorio francese.
Secondo il quotidiano, le comunicazioni tra Durov e la DGSE sarebbero avvenuti attraverso una speciale hotline e un indirizzo di posta elettronica dedicato allo scambio di informazioni riservate. La veridicità delle affermazioni di Durovsono confortate anche da un episodio risalente a maggio del 2018, in cui il Ministro degli Interni francese dell’epoca, Gerard Collomb, confermava che l’arresto di un ventenne immigrato clandestino di origine egiziana, era stato condotto mediante l’accesso alle comunicazioni effettuate dal terrorista sulla piattaforma Telegram. Laurence Bindner, consulente londinese per le reti terroristiche ed estremiste, affermò all’epoca che non era la prima volta che le autorità francesi sfruttavano questo tipo di collaborazione, aggiungendo che non era peraltro certo del fatto che le autorità francesi fossero in grado di decifrare la funzione criptata “person-to-person” di Telegram.
Vale anche la pena di ricordare che già nel 2016, due attivisti russi avevano minacciato di citare in giudizio l'operatore di telefonia mobile MTS, il più grande operatore di rete mobile russo, per aver presumibilmente favorito l'accesso ai loro account sul servizio di messaggistica criptata Telegram.
Appare singolare anche il caso pubblicizzato sempre a maggio del 2018 in Francia, ma risalente a dicembre del 2017, che ha consentito alla DGSE di arrestare due propri “agenti doppi” sospettati di essere stati reclutati dalle autorità cinesi per spiare le operazioni di intelligence francesi condotte all’estero.
Le rivelazioni di Durov sulla collaborazione condotta con l’agenzia di intelligence francese fornisce nuovi elementi di riflessione che potrebbero condurre a deduzioni sufficientemente verosimili. Che le piattaforme di instantmessaging siano utilizzate anche dalla criminalità e dal mondo del terrorismo internazionale, e cosa ben nota. Ma nel contempo non bisogna sottovalutare l’importanza strategica che queste piattaforme, come Telegram, WeChat, Facebook Messenger, WhatsApp, hanno acquisito a livello mondiale, assumendo un ruolo fondamentale nell’accesso alle informazioni su base planetaria. Da ciò ne deriva che i rapporti di collaborazione tra le proprietà di questi colossi dell’informazione e i Governi interessati all’accesso dei contenuti trasmessi attraverso le diverse piattaforme online, potrebbero condurre a scenari non certo tranquillizzanti sul piano della tutela della privacy dell’individuo.
Non dobbiamo dimenticare che l’arresto di Pavel Durov assume la connotazione di un evento epocale: è ormai chiaro che tutti coloro che giocano un ruolo rilevante nello spazio informativo internazionale, possono rappresentare un pericolo per la stabilità politica ed economica di un Paese.
A tal proposito c’è da chiedersi cosa abbia spinto il proprietario di Telegrama consegnarsi alle autorità governative francesi ben sapendo del mandato di cattura spiccato nei suoi riguardi. L’arresto di Durov rappresenta un segno di cambiamento molto forte da parte di Stato sul considerevole potere di propaganda e condizionamento psicologico attualmente esercitato dai social media. Ciò potrebbe condurre ad una reazione a catena anche da parte di altri Paesi nel controllo dei contenuti dei social media, e ciò andrebbe certamente a scapito della libertà di espressione da parte delle persone.
Antonio Teti è Docente di IT Governance e Big Data al Dipartimento di Economia Aziendale dell'Università degli Studi "G.d'Annunzio" di Chieti – Pescara