È il prossimo anno che Carlos Tavares si gioca il posto

Dagli altari alla polvere, Carlos Tavares sta fronteggiando la fase più difficile della sua carriera. L’amministratore delegato e strapagato (36,5 milioni di euro i compensi per il 2023) di Stellantis non è più il Napoleone vittorioso che ha conquistato i regni degli Agnelli e le terre americane, guidando con successo un’armata di 14 marchi, ma è un leader che sta perdendo terreno sui principali mercati, finito sotto l’attacco di sindacalisti e azionisti negli Stati Uniti e contestato dal governo in Italia. Un mito incrinato. I numeri sono impietosi: nel primo semestre del 2024 il gruppo ha venduto 2,9 milioni di veicoli (-12 per cento rispetto a un anno prima), il fatturato è sceso del 14 per centoa 85 miliardi e l’utile operativo è passato da 14 a 8,4 miliardi (-40 per cento). Di conseguenza negli ultimi 12 mesi il valore in borsa di Stellantis si è ridotto di un terzo. Non è che gli altri gruppi europei dell’auto se la passino meglio, ma mentre le case tedesche soffrono soprattutto per il calo delle vendita in Cina dove non riescono a competere con i produttori locali nel segmento delle elettriche, che ormai rappresentano metà delle nuove immatricolazioni, Stellantis invece perde colpi in Nord America, dove l’impresa franco-italiano fa più ricavi e più utili: il 44 per cento del fatturato nel semestre e più della metà dei profitti operativi. Ed è proprio negli Usa dove c’è stata la caduta più forte della redditività, crollata del 46 per cento e dove la quota di mercato è scesa dal 9,6 all’8,4 per cento. Qui Stellantis ha commesso una serie di errori: per esempio, non è riuscito ad adattarsi quando i prezzi dell’era della pandemia hanno iniziato a diminuire, lasciando Jeep e Ram con listini troppo alti rispetto ai concorrenti e riempiendo così i parcheggi dei concessionari. Ma ci sono stati anche ritardi nell’avvio della produzione di nuovi modelli.

Per evitare una Waterloo oltreoceano Tavares è già al lavoro da mesi per svuotare i magazzini e rilanciare i suoi brand a stelle e strisce. In Europa la situazione è diversa. Il manager portoghese deve affrontare una crisi strutturale che colpisce i grandi mercati occidentali: una tendenza al ridimensionamento delle vendite che non è più compensato da altri sbocchi, come la Cina. La torta è più piccola, la concorrenza si moltiplica ed è per questo che si torna a parlare di una difficile se non improbabile fusione tra Stellantis e Renault. «Giudicare le scelte del management in situazioni così complesse non è facile» commenta Francesco Zirpoli, professore di economia gestione dell’innovazione all’Università Ca’ Foscari di Venezia e direttore del Cami (Center for automotive and mobility innovation). «L’impressione è che Stellantis abbia un problema di gamma prodotto: ha deciso di tenere sulle stesse linee delle vetture che possono alternare motorizzazioni endotermiche o elettrificate, in modo da adattarsi rapidamente alla domanda. Una scelta che dona flessibilità ma che d’altra parte non consente di offrire prodotti avanzati come quelli della concorrenza, che ha puntato su piattaforme puramente elettriche».

Anche dover gestire come un acrobata 14 marchi, a cui ora si aggiunge quello della Leapmotor, non è facile. E l’Italia? Qui invece di produrre un milione di vetture, come si aspettava il governo, Stellantis non supererà quest’anno l’asticella del mezzo milione, con gli stabilimenti interessati chi più chi meno da fasi di cassa integrazione. Anche la nuova 500 elettrica, realizzata a Mirafiori, ha avuto uno stop. «Nel nostro Paese, che sconta costi industriali più elevati, il gruppo punta su produzioni di veicoli ad alta marginalità e bassi volumi, spostando quelli a minore valore aggiunto in Polonia, Serbia e Marocco» spiega Zirpoli. «Una strategia che paga se si possono offrire modelli premium e competitivi in un mercato sempre più complesso, dove tutti vogliono essere presenti. E questi veicoli non ci sono, perfino la Maserati arranca. È chiaro che gli investimenti per alimentare tale strategia non risultano sufficienti». Inoltre Stellantis, nella spasmodica ricerca di tagli ai costi, ha peggiorato le condizioni di lavoro negli stabilimenti italiani. E poiché si è spostato il baricentro in Francia, il nostro Paese ha perso la sua centralità nello sviluppo di nuovi prodotti, in particolare nel segmento «utilitarie». Tavares ha davanti il 2025 per risollevare le sorti del gruppo con modelli che finalmente convincano il mercato. Se non ci riuscirà, a inizio del 2026 - scaduto il suo contratto - rischia di essere sostituito. Certo, però, che farà di tutto per non chiudere la carriera nella polvere della sconfitta.

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