Lifestyle
June 30 2019
È matematica del movimento: muscoli e motore si dividono lo sforzo per moltiplicare la velocità. Ancora meglio, è psicologia geometrica: un percorso in verticale incute meno timore, uno in orizzontale dà più soddisfazioni, la discesa in diagonale resta, vivaddio, la pacchia di sempre. Ecco i prodigi dell’e-bike, dimensione accelerata del ciclo-stile, andamento lesto su pedali: la solita bici, già, ma con la propulsione elettrica di serie. Sensata tentazione per i commuter urbani in giacca o tubino aderente: coltivano un’anima green, però mai e poi mai si affiderebbero ai sussulti capricciosi di un monopattino, nemmeno per sogno si lancerebbero sui disequilibri matti di uno skateboard. Quella, glielo sussurra la coscienza, è roba per giovinastri. E poi: l’e-bike allarga i confini geografici, sa di manna dall’asfalto per le gite fuoriporta. Le pendenze irregolari ne escono addolcite, il fiatone dei curvoni di collina è aspirato nel sottovuoto dei pessimi ricordi. Dà una spintarella al turismo mentre omaggia di una seconda giovinezza sportiva chi, suo malgrado, aveva appeso il sellino al chiodo.
Da queste buone premesse, si giustificano le ottime statistiche: secondo i dati diffusi poche settimane fa da Confindustria Ancma (Associazione nazionale ciclo motociclo e accessori), nel 2018 sono state vendute 173 mila bici elettriche, con un aumento del 16,8 per cento rispetto a dodici mesi prima. Una crescita a doppia cifra che ha concesso il bis: nel 2017 ne erano stati acquistati 148 mila pezzi, il 19 per cento in più del 2016. Segno che la tendenza pedala, non brilla d’evanescenza come un colpo di fulmine. Anzi, sovrabbonda d’amore inespresso: «Da una ricerca svolta dalla società Eumetra Mr sulla mobilità di ultima generazione, risulta che la bici elettrica ha l’indice di vivacità più elevato. È, tra tutti, il mezzo più promettente. Siamo di fronte a un mercato che potrebbe raggiungere i 3 milioni di pezzi» dice a PanoramaPiero Nigrelli, direttore del settore ciclo di Confindustria Ancma. Arrivare a quel numerone non sarà una scampagnata, il rivale principale sono le solite scatole di lamiere: da noi ci sono 625 auto ogni mille abitanti, quando la media europea si assesta intorno alle 500. Il volante è una dipendenza profonda, una pigrizia logistica complessa da scardinare. Più fanatico delle quattro ruote del Bel Paese, per dire, nel Vecchio Continente rimane giusto il Lussemburgo.
Forse anche per imporre un nuovo ritmo, per sdoganare un’alternativa che fa respirare l’ambiente, il codice della strada è stato munifico verso le e-bike: stando nei limiti dei 25 chilometri orari, non servono targa, bollo, assicurazione né patente. E manovrarla resta facile come andare in bicicletta, perché di questo si tratta. Basta prenderci il piede. La formula magica si chiama pedalata assistita: a differenza dello scooter che sfreccia a colpi di manopola, qui il motore reagisce alle sollecitazioni delle gambe. Ne amplifica la potenza. È come se capisse quanta forza vogliamo imprimere, che velocità abbiamo l’ambizione di toccare. Per adeguarsi di conseguenza: «Per spiegarla bene, funziona un paragone preso dal mondo dei videogame. Prima, bisognava avere dimestichezza con un controller e le combinazioni dei suoi pulsanti. Non era per tutti, imponeva una regola d’ingaggio, una preparazione. Poi è arrivata la Wii della Nintendo: scuoti il telecomando e i gesti si ripetono sullo schermo. Non c’è nulla da imparare. Lo stesso fa l’e-bike: asseconda e riproduce la nostra voglia di movimento. Con semplicità estrema». Guidare non è un videogioco, ma quasi un gioco. A parlare è Marco Cittadini di Shimano Italia, storica azienda giapponese, l’icona del cambio delle mountain bike. Che ora, assieme ad altri colossi del settore (su tutti Bosch), si è messa a fare anche motori e tecnologia per la pedalata assistita. «Un passaggio» sottolinea Cittadini «molto coerente: il cambio era l’assistenza primordiale alla fatica del ciclista. Si tratta di assecondare le spinte contemporanee». Ogni doppio senso non è puramente casuale.
Chi tiene a freno l’entusiasmo è Paolo Manzoni, titolare di ElettrocityStore, punto di riferimento milanese dell’e-bike, aperto dal 2013. «Siamo ancora acerbi» afferma: «Guardiamo con ammirazione al prototipo europeo della mobilità urbana leggera, però ce ne teniamo a distanza. I nostri clienti, a cominciare dagli over 40, la comprano soprattutto per andarsi a divertire nel weekend. Ma grazie alla sua agilità e duttilità, saprebbe imporsi per i tragitti medi e brevi di tutti i giorni. Un problema è la barriera del prezzo. Per un buon prodotto, si va dai 2 mila euro in su». Questo ostacolo potrebbe scavalcarlo il bike sharing dei modelli a batteria, il noleggio con il prefisso «e». A Roma è stato annunciato Elviten, un progetto sperimentale finanziato dall’Unione Europea che ha coinvolto Bari e Genova. All’estero, sgambettano grandi multinazionali dei trasporti stravolti, su tutte Uber con Jump: si apre una app e si trova la bici elettrica più vicina da Chicago a New York, da Berlino a Londra e Lisbona. La tariffa è di qualche centesimo al minuto. Secondo alcune voci, dovrebbe essere imminente l’approdo del servizio anche da noi. Intanto, i principali marchi del tricolore si sono messi ad arricchire il loro catalogo con opzioni a pedalata assistita. «Che si vendono bene» conferma Manzoni, complici i dazi dell’Ue per arginare la concorrenza sleale dei modelli provenienti dalla Cina. Come certifica la stessa Confindustria Ancma, la produzione interna nel 2018 si è assestata a 102 mila pezzi, il 290 per cento in più rispetto al 2017. E ha messo il turbo pure l’export: lo scorso anno ha toccato 42 milioni di euro, salendo del 300 per cento in confronto a dodici mesi prima. Numeri da volata.
Lo scorso 1 giugno, intanto, si è concluso il «Giro E», 18 tappe su e-bike sullo stesso percorso del classicissimo Giro D’Italia, mentre grandi campioni del ciclismo hanno abbracciato con entusiasmo questo nuovo modo di correre. E se i vip, da Diletta Leotta ad Arisa (con corredo dell’hashtag #ecogirl), scorrazzano su Instagram sulle loro scudiere con la pila, in alcuni centri del Sud Italia hanno trovato una via altrettanto entusiasta (ma illecita) per salire in sella alla tendenza: attaccare finti pedali agli scooter, spacciandoli così per bici per evitare targhe e altri obblighi. Furbata criminale, che pur conferma i muscoli e la capillarità del fomento elettrico. Fuori città, invece, sono già radicata consuetudine, parte del paesaggio: dalla Valtellina che propone ben 90 itinerari da percorrere con le mountain bike elettriche («migliaia di amanti delle due ruote possono finalmente raggiungere mete finora solo sognate» si legge sulla rivista ufficiale della destinazione, che dedica un’intera sezione all’offerta su e-bike della zona) fino ai tour dell’Etna in Sicilia, non c’è regione o attrazione naturalistica che non sia esplorabile con la spinta della batteria. Tutto sommato, è di nuovo matematica: si aggiunge pubblico all’esperienza del movimento, coinvolgendo anche famiglie con bambini, anziani, sedentari incalliti; si sottrae all’equazione la fatica, che specie con la calura estiva sa farsi sentire. Sotto questo sole bello pedalare. E non c’è da sudare.