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January 31 2014
A pallone sa giocare. Bene. E molto meglio di tanti suoi colleghi, ha colpi da campionissimo, vede la porta come pochi e non ha paura di osare. In campo e fuori. Il limite tra coscienza e inconscienza sembra scritto per lui. “Non c'è coraggio e non c'è paura, ci sono soltanto coscienza e incoscienza: la coscienza è paura, l'incoscienza è coraggio” diceva Moravia.
Per Osvaldo il coraggio è paura della coscienza. È fragilità. È l’errata percezione di sé all’ennesima potenza. Osvaldo è una testa calda. Ma di teste calde è pieno il mondo. Erano per caso degli stinco di santo i Bendtner o gli Anelka sbarcati a Torino? Non più e non meno di Osvaldo. O,parlando di campionissimi, lo furono gli Edgar Davids, gli Omar Sivori e i tanti altri prima e dopo di loro? No di certo.
Però Osvaldo non è un calciatore, non è un campione. Non lo è non lo è mai stato. E mai lo sarà. Non lo è nell’animo. Non perchè anteponga se stesso alla squadra, le sue pulsioni emotive al gruppo. Di quelli ne abbiamo conosciuti tanti, anche tra i campionissimi. Ibrahimovic a suo modo è un fantastico one man show. No, Osvaldo appartiene ad un’altra specie, lui antepone se stesso al calcio. L’Io alla vittoria, anche alla sua vittoria personale. Non gioca per vincere. E non gioca neppure per divertirsi. È un meta-giocatore “gioca per giocare” e per avere sempre ragione lui.
Quando ha trovato situazioni, moduli o allenatori (qualcuno ha detto Zeman?), che gli davano ragione ha fatto cose difficilmente ripetibili. Gol come questo. Li ha fatti a Firenze, a Lecce, a Roma, all’Espanyol. Ha avuto ragione, poi torto. Per lui sempre ragione. Ma ormai ha 28 anni e il calcio è più breve della vita e lui, come tutti, ha raccolto quello che ha seminato. Un carriera discreta, nella quale ha collezionato 86 gol tra club e nazionali varie. Poco per uno che “a pallone sa giocare”. Il suo quasi coetaneo Lukas Poboski (7 mesi di differenza tra i due), un altro con un caratterino mica male, e ha fatti ad oggi 191, più del doppio; Giuseppe Rossi, più giovane di Osvaldo di un anno, 138.
Ha fatto parlare di sè più per le cose che ha detto che per quelle che ha fatto. Ricordiamo una sua surreale intervista fatta dopo Juventus-Roma dello scorso anno. Una partita senza storia, una partita che dopo mezz’ora era già 3 a 0 per noi. Una partita in cui neppure Totti riuscì a inventarsi una qualche forma di aiutino. E lui a fine partita parlò. Da solo. Da uomo solo. Da solitario e formidabile “scemo del villaggio”. Parlò di un condizionamento continuo. Di un arbitro feroce, accanito. Di lui piccolo e nero contro il mondo. In quelle parole c’è molto di Osvaldo. Un Top Player nel corpo di un Normal Player. Uno che non avendo esatta percezione di sè e di quello che avviene nel mondo intorno a sè vive eternamente in combutta col mondo stesso.
Quando non parla, twitta nel suo italiano naturalizzato.
...Facevi più bella figura se ammettevi di essere un incapace.. Vai a festeggiare con quelli della Lazio va...
— Dani Osvaldo (@danistone25) 27 Maggio 2013
Quando non twitta guarda in camera. O si veste o corre dietro alle gonne delle donne. Gli manca il senso dell’attesa, gli manca la prudenza della rifelssione. Anche in campo. In campo dove ha la forza d’urto, la probità dell’istinto. Ma pecca sempre troppo dell’attesa, della tattica. Della lettura anche minima della partita. Ma può essere un buon utensile atto finalizzare le azioni di una squadra che di occasioni ne produce a bizzeffa. Non a caso, almeno in fase realizzativa, ha fatto sempre molto bene nelle squadre a vocazione offensiva.
Alla Juve Osvaldo dovrà gioco forza fare un bagno di umiltà: l’ha già fatto riducendosi pesantemente l’ingaggio. Lo farà ancora accettando tanta panchina e un ruolo da comprimario. L’operazione dal punto di vista economica è encomiabile: prestito gratuito, ingaggio ridotto e eventuale riscatto a giugno se Osvaldo, folgorato sulla via di Damasco, dovesse inaspettatamente trasformarsi nel nuovo Luca Vialli. Più verosimilmente Osvaldo avrà un ruolo alla Boriello, poco spazio in campionato soprattutto all’inizio, qualche partita in Europa League e riserva di lusso in caso di infortunio di uno dei titolari.
Se conosciamo Antonio Conte e il rispetto sacrale che ha per il gruppo, Osvaldo dovrà armarsi di pazienza per superare nella gerarchia degli attaccanti non solo i due titolari Llorente e Tevez, ma anche uno come Fabio Quagliarella che fa parte ormai del gruppo storico. Anche perchè per Conte: "Nei momenti di difficoltà il giocatore viene sempre in secondo piano ed emerge l’uomo" e dai suoi uomini, in questi anni ha avuto sempre le risposte che si aspettava.
La vera incognita per molti è se Osvaldo accetterà la panchina senza turbolenze, ma su questo in realtà siamo molto più tranquilli di tanti altri: a differenza della sua esperienza romana ad esempio i pesi si sono invertiti. La Juve non ha bisogno di Osvaldo, ma è Osvaldo che ha bisogno della Juventus. Se dovesse dimostrare per l’ennesima volta immaturità e indisciplina, allo Juventus Stadium ci sono delle tribune moderne e accoglienti: Osvaldo non viene alla Juve per fare il titolarissimo, una rinuncia a lui sarebbe quasi indolore. Viceversa lui ha molto bisogno della Juventus per sperare di avere ancora mercato nel prossimo giugno e soprattutto per giocarsi le residue chances di andare in Brasile.
Poi, c’è da giurarci, da giugno ognuno per la sua strada, sperando che ci sia qualcosa da festeggiare. Con garbo. E che i campioni di questa Juve gli diano qualche pallone da gettare in rete.