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February 12 2018
Giorni fa suLa Repubblica, Michele Ainis, costituzionalista di talento, tracciava il vademecum della terza Repubblica, quella che ci ha portato in dote lanuova legge elettorale proporzionale. Su un punto Ainis era assolutamente convinto: un simile sistema offre fatalmente le chiavi del Potere ai "non vincenti", a "personaggi scoloriti", "a chi non vince o a chi non gioca", "alle terze file". Ragionamento che in un Paese strano come l'Italia ha una sua verità storica.
Non per nulla il centrodestra è andato al voto con tre candidati a Palazzo Chigi -Silvio Berlusconi,Matteo Salvinie Giorgia Meloni - e la scelta, in caso di vittoria, è stata rinviata a dopo il 4 marzo. E anche nel caso non vincesse nessuno e spuntasse l'ipotesi di ungoverno di larghe intese, i nomi più gettonati per presiederlo sono di personaggi di compromesso, appunto, seconde o terze file, con identikit simili a quelli di Paolo Gentiloni. Ma si tratta di una legge della politica o di un rituale tutto italiano, per alcuni versi senza senso?
In Germania la pensano in tutt'altro modo: dopo una lunghissima e complicatissima crisi, Angela Merkel, leader dei cristiano democratici, e Martin Schulz, capo dei socialdemocratici, si preparano a varare ungoverno di grande coalizione, con l'idea di far parte entrambi del governo, la prima nel ruolo di cancelliere, il secondo, non fosse altro perché guida un partito più piccolo, di vice.
Dato che la prova è ardua, i due leader hanno deciso di mettersi in gioco e di assumersi in prima persona la responsabilità di una svolta che potrebbe scontentare anche qualche loro elettore. Come i due consoli dell'antica Roma.
In Italia, invece, si predilige sempre la subordinata, per timore o perché si coltiva un secondo fine. Avveniva nella seconda Repubblica e rischia di avvenire anche nella Terza. Nei governi di centrosinistra è stata una costante: mentre Romano Prodi era a Palazzo Chigi, Massimo D'Alema lavorava per prenderne il posto, spiegando dentro e fuori l'Ulivo che lui sarebbe stato molto meglio. L'esperienza si è ripetuta anche nell'ultima legislatura conlo "stai sereno" di Matteo Renzi a Enrico Letta.
Nel centrodestra operazioni simili non sono arrivate a compimento, ma solo per lo strapotere di Berlusconi. Detto questo, ci hanno provato lo stesso. Anzi, a dir la verità, Umberto Bossi riuscì a far cadere il primo governo del Cav, mentre gli ex-alleati Pierferdinando Casini e Gianfranco Fini, come presidenti delle Camere, hanno provato seriamente a ripetere l'operazione, anche se invano.
Per cui senza stare appresso a quella chimera che si insegue da venti anni della riforma costituzionale, già un grande passo avanti sarebbe se, contraddicendo la profezia di Ainis, i leader dei partiti che formeranno la prossima maggioranza decidessero di avereruoli di primo piano nel governo. Una logica che dovrebbe prevalere se vincesse il centrodestra, ma ancor di più se si imponesse la necessità di una grande coalizione.
I modi sono infiniti: i vari leader possono stare insieme nel governo, avere ruoli istituzionali o si possono immaginare staffette a Palazzo Chigi. L'unica cosa da evitare è che, fatto un governo, chi è in platea cominci a lavorare già dal giorno dopo contro chi è sulla scena. Insomma,ci sarebbe bisogno di responsabilità più trasparenti e meno ipocrisia. "Gli inciuci" osserva Berlusconi "sono i patti segreti, non gli accordi dichiarati". Appunto, innanzitutto, trasparenza da parte di tutti, a cominciare da quello che riguarda il Cav: dato che il personaggio, in tutte le opzioni più probabili della prossima legislatura, sarà il perno del governo del Paese, si porrà, se non si vuole far la politica degli struzzi, la questione di una sua riabilitazione. Meglio prima, che dopo.
Articolo pubblicato sul n° 8 di Panorama in edicola dall'8/2/2018 con il titolo "Contro lo stallo, un governo dei leader"