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May 29 2014
Già alla vigilia della deposizione del presidente islamista Morsi, le immagini del feldmaresciallo Al Sisi - rieletto oggi con il 95% dei voti in un'elezione dove il vero dato politico è un'astensione che va oltre il 50% degli aventi diritto - venivano innalzate da milioni di egiziani riversati nelle piazze per protestare contro il fallimentare governo dei Fratelli musulmani. A partire dal giorno successivo, Al Sisi appariva come il salvatore della patria, che aveva risparmiato all’Egitto una svolta teocratica e la conseguente violenza settaria che sta tuttora dilaniando molti dei paesi mediorientali. Oltre ad avere liberato l’Egitto da un governo che aveva largamente tradito le speranze di piazza Tahrir, il pragmatico generale era riuscito ad assicurare sostegno economico (quasi 20 miliardi di dollari) alla già minata e fragile economia egiziana da parte delle petromonarchie del Golfo.
Per reprimere i focolai jihadisti nel Sinai, si era invece coordinato con Israele e i reticenti Stati Uniti, non esitando a recarsi a Mosca per dimostrare all’alleato americano che l’Egitto non era per forza costretto a rimanere sotto la tutela di Washington. Tali erano (e sono) la gratitudine delle masse e il culto della personalità che si è sviluppato intorno alla sua figura, che Al Sisi non aveva altra scelta che di candidarsi. La sua popolarità ha eclissato ogni altra alternativa, a cominciare dal nasseriano Hamdin Sabahi che lo sfidera alle presidenziali del 26 maggio. Il punto è che con un'astensione così alta l'apparente gratitudine di massa che aveva accompagnato la sua ascesa si è liquefatta come neve al sole. È stato rieletto, quello sì, ma senza riuscire ad avere con sé la maggioranza della popolazione e senza convincere tutti coloro che, pur odiando i Fratelli musumani, non hanno visto di buon occhio una repressione che è andata ben oltre la mano dura contro i Fratelli, ma si è estesa a tutti i dissidenti, liberali compresi.
La sua retorica, invece, è un sapiente mix di riferimenti patriottici e segnali di tolleranza religiosa, che tranquillizzano soprattutto la consistente minoranza cristiana, scottata dall’esperienza islamista. Ma che invece allarmano i movimenti islamisti messi fuori legge e duramente repressi, a suon di centinaia di condanne a morte, i movimenti laici come il 6 aprile (messo anch’esso fuori legge) e le organizzazioni internazionali.
Al Sisi è un intrigante miscuglio in cui le parole proferite con tono pacato, al limite del soporifero, si contrappongono ad azioni drastiche, come la dispersione armata degli accampamenti in cui i Fratelli musulmani si erano asserragliati alla vigilia della deposizione del loro presidente. Un pugno di ferro a cui il più che probabile futuro leader non intende certo rinunciare: nella sua prima intervista televisiva ha messo in chiaro che durante la sua era "non esisteranno più i Fratelli musulmani" e che la controversa legge che pone limiti alle manifestazioni di piazza non verrà revocata. Ma anche in questo Al Sisi, da vero pragmatico, non ha fatto altro che far proprio l’umore di un’opinione pubblica stremata dall’instabilita politica.