Elezioni Europee 2024: chi vince, chi perde

CHI VINCE

Meloni e Schlein sono indubbiamente le vincitrici di queste europee. Meloni in particolare, perché crescere nei consensi dopo due anni di governo in acque così agitate rappresenta certamente un “unicum”. Con questi numeri, il capo di Fdi assume il ruolo di dominus del quadro politico, e avrà buon gioco ad accelerare le pratiche di governo più importanti, come il premierato. Ha funzionato l’impostazione della campagna elettorale sulla sfida tra donne, ed Elly Schlein può tirare un sospiro di sollievo e fare un giro di accordi di chitarra: le fronde interne del Pd rinfoderano, per il momento, le spade. Anche se l’affermazione del Partito Democratico rischia di essere un’arma doppio taglio in vista delle future alleanze, visto che in buona parte è stata compiuta a spese dei Cinque Stelle, cioè quelli che in teoria dovrebbero essere i futuri alleati alle prossime politiche. E la strada del campo largo rischia di diventare ancor più accidentata.

L’altro grande vincitore è Forza Italia. E’ come se Silvio Berlusconi dà lassù continuasse a prendere voti. Ma ovviamente il merito va alla leadership di Tajani che ha saputo rispondere alla richiesta di moderazione dell’elettorato italiano, in una fase di estremizzazione della vita politica. Li davano per morti, i forzisti, e invece stanno conoscendo una nuova giovinezza elettorale. Infine, dato certamente brillante per la coppia Fratoianni-Bonanni, che sulle ceneri dei fasti pentastellati, ricostruisce un fronte sinistro da tempo in disarmo, con Ilaria Salis a fare da portabandiera.

CHI PERDE

La sconfitta ha il volto di Giuseppe Conte, che parla alla stampa a notte inoltrata e definisce “deludente” il risultato elettorale. Ma deludente è dir poco. Siamo ben lontani dalla soglia di sicurezza, considerando che cinque anni fa i pentastellati presero il 17% dei voti. Ha pesato l’astensione al Sud, cassaforte del movimento, ma forse anche una linea politica tutta fondata su pacifismo e assistenzialismo, che mostra la corda. Chissà Beppe Grillo quali dolci parole avrà proferito ieri sera nei confronti della dirigenza della sua creatura politica. Intanto Conte deve scegliere se rilanciare sé stesso buttandosi a sinistra o arrendersi al campo largo con un Pd protagonista e lui relegato al ruolo di comparsa. E in aggiunta il capo Cinque Stelle deve tenere a bada i vari Di Battista e Raggi, pronti a sgualcirgli la pochette e rubargli la leadership nel momento di debolezza.

Per Salvini è un pareggio amaro. L’obiettivo di prendere un voto in più delle politiche sembra centrato per un soffio, ma la Lega perde la palma di secondo partito della coalizione, e questo peserà nelle future scelte strategiche (e nelle nomine) del centrodestra. La scelta di Vannacci ha pagato, ma a costo di un malumore nel partito che ormai è sotto gli occhi di tutti. Lo “schiaffo” del fondatore Umberto Bossi, che ha scelto di non votare Lega, segna uno spartiacque, e il viaggio verso le prossime politiche, per Salvini, sarà burrascoso.

Da ultimo, i “piccoli” che restano fuori dall’europarlamento. Renzi si conferma incapace di prendere voti per manifesta antipatia, ma forse una poltrona di prestigio a Bruxelles saprà rosicchiarla. Gli altri? Non pervenuti.

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