News
January 17 2013
Cari amici moderati e liberali,
oggi è un giorno importante.
Il giorno in cui Mario Monti ha finalmente fatto chiarezza sui suoi compagni di viaggio, la sua idea di governo per l’Italia, l’orizzonte delle sue alleanze. Il giorno del “patto di non belligeranza” col Partito democratico di Pier Luigi Bersani alleato di Nichi Vendola. Adesso è tutto chiaro. In realtà lo era già prima, dal primo giorno in cui il professor Monti ha annunciato la sua salita in politica. Prima della conferenza stampa ufficiale, intervistato da Eugenio Scalfari su “Repubblica”, aveva detto (vado a memoria): “Allearmi con Berlusconi? Lo sai che non lo farò mai”. Mai. (Scalfari e Monti si danno il tu).
E ieri, di buon mattino, Monti ha quindi incontrato Bersani, quello che il suo staff definisce il “competitor” mentre il ruolo di “avversario” è tutto riservato a Berlusconi: con il “competitor” si corre pescando nello stesso elettorato, avendo un progetto simile, rivolgendosi a target che un po’ si sovrappongono; con l’ “avversario” non c’è accordo o sovrapposizione possibile. Più tardi, a margine di un’intervista tv, Monti ha argomentato: “Volevo che fosse chiaro che tra Berlusconi e Bersani delle differenze ci sono, la nostra non può più essere una politica di equidistanza”. Nessun equilibrismo.
Il centro di Monti è sbilanciato, strabico, storto. Pende da una parte. Pende a sinistra. D’ora poi Monti e Bersani, il Professore e il Segretario, viaggeranno a braccetto. Chi vota uno, vota anche l’altro. Chi paga uno, piglia due. Chi sostiene il Prof darà una mano al Segr. Chi dice centro, intende sinistra. Chi vuole Monti premier, si ritrova Bersani. Chi aspira a una politica vicina ai valori cattolici, avrà Vendola ministro. Chi crede nel liberalismo economico e nelle riforme, metterà nell’urna una scheda che per la proprietà transitiva (gli amici degli amici sono miei amici, gli alleati dei miei rappresentanti sono miei eletti) porterà Fassina all’Economia e i duri del sindacato nella cabina di comando del Paese.
Cari amici moderati, l’altro aspetto che colpisce è che all’indomani delle polemiche sul presunto anatema di qualche esponente del Partito popolare europeo contro Berlusconi (al limite dell’espulsione) e le prevedibili marce indietro e i distinguo successivi, col contorno di un’imprevista telefonata irritata di Monti che non ama etichettarsi “di centro”, il Popolo della Libertà è il più consistente partito (e gruppo parlamentare) italiano del Ppe, e quello che non governerà mai al fianco della sinistra. Esattamente come tutti gli altri partiti nella Ue che si riconoscono nei valori e negli obiettivi del Popolarismo europeo. Monti, da oggi, è fuori. Con i “socialisti” di Bersani. Magari più in là aggiusterà il tiro, ma sarà troppo tardi.
È probabile che Monti abbia deciso di rompere gli indugi e allearsi con la sinistra, levare gli ormeggi e lanciarsi nel mare aperto di una campagna tutta in collaborazione con il Pd, perché ha capito che è soprattutto là, a sinistra, che può ancora guadagnare voti, mentre il popolo di centrodestra non ha ceduto alle sirene del montismo, si sta orientando a confermare la fiducia in “Berlusconi la vendetta”, il sesto Berlusconi in 18 anni, o a non votare. O a scegliere la protesta con Grillo.
L’importante è saperlo, amici moderati. La politica troppo spesso è, oggi anche più di ieri, un fatto personale. Monti non ama Berlusconi come non lo ama Casini e non lo ama Fini. Idiosincrasie tra divi che non accettano di essere numeri 2. Gelosie, invidie, suscettibilità. Bersani non è un leader, meglio per Monti allearsi con lui che con Berlusconi. A dispetto della collocazione del Pd agli antipodi del Ppe, e dell’alleanza con Vendola e della tentazione della desistenza con Ingroia, a dispetto del legame con le frange dure e pure del Sindacato, e degli stessi attacchi dei colonnelli (in primis Fassina) al governo Monti, quest’ultimo ha fatto la sua scelta. Per il Pd. Ha preso un pacco e ne ha restituito un altro. E si ritroverà a fianco di Bersani a sfiocchettarlo il 26 febbraio.