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March 16 2015
Il boicottaggio di Dolce e Gabbana lanciato da Elton John è fra i trending topic di Twitter in America, dove ha trovato nuovi consensi dopo essere rimbalzato attraverso il social network. Al centro le affermazioni dei due stilisti di essere contrari (soprattutto Domenico Dolce) a "figli sintetici" nati in provetta e di concepire solo la "famiglia tradizionale con una mamma e un papà".
Il New York Times ha pubblicato un video che racconta il tam tam tra vip e gente comune del gran caos creato dalla risposta, su Instagram, di Elton John che ha scagliato la fatwa #boycottdolcegabbana. Offeso dalla definizione "figli sintetici".
Cioè che colpisce di più gli americani, in effetti, è proprio la questione dei bambini “chimici”, nati dall’inseminazione artificiale, che è anche la stessa che ha fatto scattare la rabbia del cantante inglese.
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Un sondaggio dell’istituto Pew dice che il 12 per cento degli americani è contrario alla fecondazione artificiale, mentre il 33 per cento è favorevole; la maggioranza degli americani, tuttavia, non ritiene che la questione abbia una rilevanza morale, dunque sarebbe implicitamente legittima la rabbia di Elton John, che ha due figli nati con la fecondazione in vitro di una madre surrogata.
Tramite Instagram, Stefano Gabbana ha senza mezzi termini bollato come “fascista” l’atteggiamento di John specificando poi in seguito che l'intervista è stata presa a pretesto per andare contro di loro. Ma non è servito a molto.
Il Washington Post ha sottolineato come "lo stereotipo del mammone italiano, è ancora molto lontano dallo scomparire" mettendo in evidenza come a poco serviranno i chiarimenti dei due stilisti. La rete li ha già giudicati.
Brandon Ambrosino, ballerino e giornalista del sito Vox e spesso voce fuori dal coro nella comunità gay, dice a Panorama.it che “le dichiarazioni di Dolce e Gabbana sono sembrate estremamente parziali” e in particolare “contesto decisamente il riferimento ai bambini chimici o sintetici. Tutti i bambini sono doni di Dio, non importa in che modo arrivano”.
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Ryan Murphy, creatore di serie come “Glee”, ha scritto sui social network che i commenti dei sue stilisti sono “orripilanti”. Il boicottaggio americano, al quale hanno aderito decine di celebrità da New York a Hollywood, è dunque più legato alla questione della fecondazione assistita che alla preferenza, espressa da Domenico Dolce, per i legami creati dalla famiglia tradizionale, probabilmente perché il figlio in provetta è pratica accettata pressoché all’unanimità in America.
La riproducibilità tecnica sembra essere l’ultimo criterio per decidere della legittimità dei figli. Più complicata, invece, la questione della libertà di espressione, faccenda delicata per un paese che l’ha messa nel primo emendamento alla Costituzione, cardine della cultura americana.
Il caso di Brendan Eich – amministratore delegato di Mozilla costretto alle dimissioni per aver sostenuto con donazioni la campagna californiana per il “no” al matrimonio gay – aveva riaperto la questione dei limiti della libertà di espressione, sottolineata con forza dagli stilisti finiti al centro della bufera. All’interno della comunità gay non è raro trovare voci di dissenso fra chi reputa la libertà d’opinione come un bene da salvaguardare anche a costo di legittimare chi la pensa diversamente. Da anni lo scrittore omosessuale Bret Easton Ellis denuncia quello che ha definito il “fascismo gay”.
Nel 2013 ha scritto: “Quando una comunità gay si vanta delle sue differenze e della sua unicità e inizia a mettere al bando certi gay per il modo in cui si esprimono, allora significa che un fascismo politicamente corretto ormai domina. Questo è il problema: se sei un uomo gay che non è il l’Uomo-Gay-Come-Elfo-Magico allora corri il rischio di essere ostracizzato dall’elite della comunità gay”. Il caso di Dolce e Gabbana mostra che le tensioni fra la battaglia della comunità gay e la libertà di opinione (all’interno e all’esterno della comunità) denunciate da Ellis non sono ancora state risolte. Nemmeno nella “land of the free”.