Elvis Presley il supereroe scintillante di Baz Luhrmann
Baz Luhrmann ha scelto il suo eroe, Elvis Presley, e lo rende supereroe in un film esaltante in cui si rincorrono canzoni iconiche, look vistosi, sogni e soldi, soldi e sogni, un’avventura straordinaria. Con un montaggio dinamico, creativo e brillante, che ricorre anche all’animazione e fa di Elvis (biopic dal 22 giugno al cinema) un luna park visivo ed emotivo scintillante.
Il supereroe preferito del Re del Rock and Roll? Capitan Marvel Jr., la versione adolescente di Shazam, con ciuffetto corvino di capelli – guarda caso – e mantello per levarsi in volo. Pronto a volare, come Elvis!
«Da piccolo ero un sognatore» disse The King, che fece di basette lunghe e ciuffo impomatato il suo stile distintivo. «Leggevo i fumetti e diventavo l'eroe della storia. Guardavo un film e diventavo l'eroe del film. Ogni sogno che ho fatto si è avverato un centinaio di volte».
Ma perché ogni sogno si avverasse non sarebbe bastato, probabilmente, il suo talento eccezionale. Senza l’ambiguo e misterioso colonnello Parker, il suo manager di una vita, imbonitore ma anche promotore, il mito di Elvis forse oggi non risuonerebbe ancora. Il regista australiano di Moulin Rouge! e Il grande Gatsby decide così di inquadrare Elvis tra luci e ombre del suo controverso rapporto con il colonnello Tom Parker, che nel film si presenta così: «Io sono l’uomo che ha dato il mondo a Elvis Presley».
Dopo averlo scoperto al Louisiana Hayride, scioccato dall’effetto che Elvis suscitava sul pubblico giovane, soprattutto sulle ragazze in delirio, Parker decise di fare sua «la più grande attrazione che avessi visto» e di renderlo leggenda. A suon di soldoni, per entrambi.
L’uno, Elvis, è interpretato da Austin Butler, l’altro da Tom Hanks. Il risultato? Hanks è sempre Hanks, l’ottimo attore che conosciamo, panciuto più del solito per l’occasione. Austin Butler: è la grande scoperta! Poteva sembrare una mission impossible ricreare l’energia viscerale e sovversiva di Elvis, soprattutto nelle sue esibizioni al ritmo di ancheggiamenti e movimenti convulsi. E invece i momenti che più desideriamo vedere sono proprio quelli in cui Austin Butler è sul palco e si esibisce, in vestiti sgargianti, mosse sinuose e voce seducente, facendoci quasi dimenticare per un po’ che Elvis non è lui e non è più qui.
L’unica pecca del film di 2 ore e 39 minuti? Ecco, proprio questa: la durata. La parte finale si dilunga un po’ perdendo la freschezza che ha contraddistinto quasi tutto il film. Ma è un peccato veniale, non smonta la cavalcata esuberante ed esaltante di Luhrmann, a braccetto con il suo Elvis.
Austin Butler a volte canta davvero Elvis
Com’è riuscito Austin Butler a non essere sovrastato dal confronto con Elvis? Un mix di doti personali, preparazione e tecnologia. Nella parte del film prima degli anni '60 è davvero Austin a cantare, ed occasionalmente la sua voce si fonde con quella di Elvis. Invece nelle grandi e iconiche esibizioni degli ultimi anni si sente necessariamente solo la voce di Elvis.
Questo sia perché la voce di Elvis è cambiata nel tempo, e Austin era in grado di cantare come l’Elvis degli esordi, sia per una questione tecnica, così spiegata dal regista australiano: «Quasi tutte le registrazioni di Elvis prima degli anni '60, tutte quelle tracce classiche degli anni '50 sono registrazioni in mono; in realtà non puoi separare la voce dalla band, che è una delle cose fondamentali che bisogna fare per un film. Oltre all’aspetto tecnico queste registrazioni, sebbene affascinanti e profondamente familiari, non catturano l'esperienza scioccante e cruda del giovane Elvis dal vivo sul palco. Agli albori Elvis si sentiva come un punk rocker originale. Ciò ha significato che avremmo dovuto creare il suono. Fortunatamente Austin era in grado di cantare come l’Elvis di quell'epoca, una sorta di rock and roll punk».
Per interiorizzare la fisicità di Elvis, Butler si è allenato con la movement coach Polly Bennett sia prima che durante le riprese: «Non solo mi ha aiutato ad oscillare come faceva lui, - ha detto - ma anche a capire come far muovere una persona in quel modo».
Per parlare e cantare nel modo unico di Elvis, la vera chiave del ruolo, è stato ugualmente affiancato da diversi vocal coach.
Un ruolo che un po’ è sembrato scritto nel destino, come da curioso aneddoto pre-film. Austin Butler, un giorno di Natale a Los Angeles, si ritrovò a cantare Blue Christmas di Elvis Presley. «Un paio di settimane dopo – ha raccontato l’attore americano trentenne - ho iniziato a suonare il piano a casa, intonando altri brani di Elvis di fronte a un mio caro amico, che mi ha afferrato il braccio e ha detto: “Devi proprio interpretare Elvis”». Due giorni dopo il suo agente gli comunicò l’intenzione di Baz Luhrmann di girare un film sul Re del rock’n’roll. «Ho lasciato perdere tutto pur di ottenere il ruolo. Mi è nata quasi un’ossessione per Elvis: ho iniziato a leggere e vedere tutto quel che ho potuto sulla sua vita, sui suoi amici e parenti. Ho ascoltato solo la sua musica. Prima ancora che iniziassero le audizioni, ho inviato a Baz un video in cui suonavo il piano e cantavo Unchained Melody».
Quando finalmente ha incontrato Luhrmann di persona, «ci siamo intesi da subito e abbiamo avviato un processo durato molti mesi» fino a quando finalmente è arrivato il giorno dello screen test ufficiale. Butler confessa: «Pensavo di aver fallito. Avevo preparato tre canzoni, ma Baz le ha cambiate all'ultimo momento. Col senno di poi, sono sicuro che mi ha messo alla prova, per vedere come mi sarei comportato sotto pressione, ma in quel momento pensavo di averlo decisamente deluso». A distanza di pochi giorni è arrivata la telefonata con la conferma di aver ottenuto la parte. «Ho sentito il peso della responsabilità. Ogni giorno ero assalito dall’ansia, perché volevo rendere giustizia al personaggio e alla sua famiglia, omaggiare lui e la sua vita. È stato difficile non sentirsi un bambino con l'abito del padre, come se avessi dovuto indossare scarpe più grandi di me con cui a malapena sarei riuscito a camminare».
Sicuramente le scarpe indossate sono più grandi di lui, ma Butler – con il tocco di Luhrmann – è stato bravo a non farcene accorgere.
OUR NEWSLETTER