Economia
February 20 2018
È giustificata l’ira del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda contro il "dumping" con cui la Slovacchia avrebbe attratto gli impianti Embraco di Riva di Chieri in Piemonte?
E che cosa si intende esattamente con questa parola?
Anzitutto il termine è usato in questo caso in modo spurio, per analogia. Il significato originario della parola "dumping" riguarda infatti i prezzi di vendita e le imprese che li ribassano drasticamente all’estero per conquistare nuovi mercati e stroncare la nascita di settori industriali concorrenziali.
Salvo poi rialzare i prezzi quando la concorrenza sarà stata distrutta.
Un fenomeno abbastanza frequente (e deprecato) fra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, quando i grandi gruppi industriali dei paesi più sviluppati ricorrevano a pratiche del genere per frenare le aspirazioni di autonomia di quelli economicamente più arretrati dai loro “tutori” coloniali.
Per estensione il termine è ormai di uso corrente per indicare le forti agevolazioni fiscali, contributive o di altra natura con cui alcune nazioni dell’Unione europea cercano di sottrarre alle altre, cui pure sono legate da trattati e regole comuni, investimenti e di conseguenza posti di lavoro e consenso sociale.
L’espressione corretta e completa in questo caso è dunque "dumping fiscale". È l’arma con cui diversi governi sono hanno cercato di fare concorrenza sleale (e per questo sono stati accusati) ai propri partner all’interno dell’Ue.
Dalla nascita dell’euro in poi il ricorso a pratiche del genere è stato diverse volte messo all’indice, più o meno velatamente. Il discorso riguarda diversi paesi dell’ex blocco sovietico, che partendo da condizioni di minore sviluppo economico possono già sfruttare il vantaggio competitivo di un costo del lavoro inferiore a quello dei paesi caratterizzati da un più alto tenore di vita (e da maggiori garanzie per i lavoratori). Ma non si tratta certo solo di loro.
Basti pensare che analoghe polemiche hanno investito negli anni l’Irlanda, meta di diversi colossi della new economy proprio per le sue aliquote fiscali assai basse, e il Lussemburgo, le cui pratiche per favorire i grandi gruppi sono state applicate (aumentandone a posteriori l’imbarazzo) all’inizio degli anni Duemila, quando il primo ministro era l’attuale presidente della Commissione europea, Jean Claude Junker.
Da qualche anno la Slovacchia sta praticando un mix di agevolazioni molto spinto che va dalle aliquote fiscali decisamente più basse della media dell’Unione ai consistenti contributi pubblici per ogni dipendente assunto in loco.
Non per niente un corteo di imprese manifatturiere europee, fra cui anche diverse italiane, ha già trovato casa in quel paese. Tutto questo è legittimo e in regola con le regole euroopee?
La risposta è no, se le agevolazioni in questione prendono la forma di aiuti di Stato a singole imprese o settori, che sono vietati dai trattati (seppure in qualche caso specifico siano state poi previste dalle normative). Ma il confine fra lecito e illecito in questo campo non è facile da tracciare, come dimostrano ampiamente le polemiche degli anni passati. E nessuno può dire oggi se le condizioni offerte dalla Slovacchia alla Embraco rientrino o no nei comportamenti proibiti.
Per rafforzare la sua presa di posizione contro la scelta dell'azienda, Calenda è volato subito a Bruxelles, dove ha parlato di questo problema con il commissario europeo alla concorrenza Margarethe Vestager. Questa avrebbe assicurato, parole dello stesso Calenda, che "la Commissione è molto intransigente nel verificare i casi segnalati in cui c'è un problema o di uso sbagliato o non consentito degli aiuti o, peggio, di aiuto di Stato per attrarre da Paesi che sono parte dell'Ue".
È un punto a favore del ministro italiano dello Sviluppo economico, ma al momento solo dal punto di vista della comunicazione. Ottenere dalla Commissione iniziative contro singoli paesi per pratiche che non è ancora acclarato se siano legittime o meno, è tutt’altra faccenda.