Plateroti: «Privatizzare l'Eni comporta dei rischi»

Eh sì, c’è anche Eni nel piano di privatizzazioni del governo. Secondo Bloomberg l’esecutivo sta lavorando per mettere sul mercato il 4% del “Cane a sei zampe”. Tempi ravvicinati e circa 2miliardi di incassi per lo Stato, per contribuire a ridurre il debito pubblico. “Per vent’anni la destra all’opposizione ha accusato i vari governi di svendere le aziende pubbliche. Adesso le necessità di bilancio hanno fatto aprire gli occhi. Ma le privatizzazioni delle grandi aziende pubbliche hanno un risvolto rischioso. È vero che lo Stato può mantenere, con la golden share, il controllo e fare in modo che la società non sia scalabile. Quindi può fare cassa in sicurezza, anche parlando di Eni. Ma significa anche perdere i dividendi più sicuri. lo scopo di queste operazioni non deve essere di tappare un buco di bilancio, altrimenti alla lunga lo Stato ci perde”, commenta Alessandro Plateroti, direttore editoriale di Newsmondo.it

La vendita del 4% di Eni dovrebbe avvenire dopo che la compagnia petrolifera avrà completato il piano di buy back (scade ad aprile). Oggi lo Stato controlla il 32,398% del capitale di Eni: il 4,667% è in mano al Mef (Ministero dell’Economia e delle Finanze) e il 27,731% a Cdp (Cassa depositi e prestiti). Nonostante la messa sul mercato del 4% il controllo di Eni resterà alla Cdp. “In Italia esistono due titoli quotati in borsa che fanno la parte del leone: sono Intesa Sanpaolo e Eni, che hanno i payout maggiori. Sono titoli ad alto dividendo, che quindi hanno un forte appeal per i fondi di investimento e gli investitori. Eni soprattutto vuol dire per gli flusso costante ogni sei mesi. Lo Stato, vendendo il suo 4% fa cassa subito (2miliardi di euro ndr), ma perde i dividendi che avrebbe, mantenendo la sua quota di azioni. Vuol dire avere una perdita netta in termini di dividendi”, spiega il direttore di Newsmondo.it

Oltre a cedere proprietà e perdere dividendi l’operazione significa rinunciare, in nome del bilancio, ad una parte di un protagonista strategico in campo energetico per l’Italia. “Eni è un’azienda strategica e non sappiamo quali saranno i fondi interessati. Ma soprattutto cedere su Eni dimostra come non si riesca ancora a vedere il grande e vero problema del nostro Paese: la proliferazione di società pubbliche (quasi 4mila) che fanno servizi che potrebbero essere cedute a privati per creare del valore reale. Abbiamo bisogno di fare lavorare la gente, non di vendere azioni”, continua Plateroti.

Il piano del governo è di fare privatizzazioni per circa l’1% del Pil entro il 2026. Si stima l’incasso di circa 20miliardi di euro, per ridurre il debito pubblico italiano. L’obiettivo è scritto in modo chiaro nella Nadef. “Purtroppo, si è radicata la politica di fare cassa con le aziende migliori italiane. Privatizzare invece significa fare spazio al privato per fare impresa, non per fare cassa. L’operazione virtuosa sarebbe agire invece in quella giungla di società pubbliche che sono migliaia”, spiega Plateroti. Il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti ha toccato l’argomento anche al vertice di Davos: "Le operazioni che abbiamo avviato, dal Monte dei Paschi a operazioni anche molto complesse come la Netco di Tim, hanno registrato ampia soddisfazione, così come "molto interessati" si sono detti anche del piano di privatizzazioni", ha detto.

E dopo Eni? Poste e Ferrovie sarebbero le prossime. “Cedendo su Poste lo Stato vende una banca. Ormai il guadagno è tutto sul servizio bancario. E quindi si va anche qui a perdere dividendi da un servizio pubblico. E Ferrovie è un tema molto delicato, dove l’intreccio tra settore alta velocità e settore del servizio regionale (dei pendolari) con la privatizzazione verrebbe a creare un grande conflitto tra interesse pubblico e degli azionisti”, conclude Plateroti.

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