Esodati della scuola, perché non possono andare in pensione

Niente pensionamento, almeno per ora. E' l'amaro boccone che devono digerire 4mila lavoratori del settore dell'istruzione, da tempo definiti “esodati della scuola”. Si tratta per lo più di insegnanti che, al pari degli esodati dell'industria, sono rimasti beffati dall'ultima riforma previdenziale ideata dall'ex-ministro del welfare, Elsa Fornero, che ha innalzato di colpo l'età del pensionamento.

LA RIFORMA DELLE PENSIONI DI ELSA FORNERO

In pratica, quando è arrivato il giro di vite della Fornero, c'erano 4mila dipendenti scolastici che avevano maturato il diritto a mettersi a riposo con i vecchi requisiti previdenziali, cioè con la cosiddetta quota 96. Si tratta di una soglia di accesso al pensionamento, in vigore fino al 2012, che permetteva di ritirarsi dal lavoro non appena la somma dell'età e degli anni di carriera del dipendente superava appunto il livello di 96. Era cioè possibile andare in pensione con 61 anni all'anagrafe e 35 di servizio, oppure con 60 anni di età e 36 di carriera.

Nel dicembre del 2012, queste regole vennero però cancellate dalla riforma Fornero. Peccato, però, che 4mila dipendenti del settore dell'istruzione avevano già presentato la domanda di pensione ma erano ancora impegnati a completare l'anno scolastico, il cui termine era previsto ovviamente nell'agosto successivo. Per mettere in salvo questi lavoratori (e consentire loro di andare in pensione) è stato presentato un apposito disegno di legge, per iniziativa di Manuela Ghizzoni (Partito Democratico) e Maria Marzana (Movimento 5 Stelle).

La Ragioneria Generale dello Stato (Rgs), che ha il compito di verificare le coperture finanziarie delle norme approvate dalle Camere, ha però bocciato il provvedimento. Motivo:” non risultano economie accertate a consuntivo" che possano far fronte ai maggiori oneri valutati per l’attuazione della legge, hanno scritto gli esperti della Ragioneria. In altre parole: le coperture finanziarie non sono garantite, perché si basano su risorse non ancora accertate. Adesso tocca al governo il compito di trovare i soldi, che non sono poi tantissimi: 35 milioni di euro nel 2014, 105 milioni nel 2015, 101 milioni nel 2016, 94 milioni nel 2017 e 82 milioni nel 2018.

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