L'esodo e Malarazza, profumi di donna al cinema – Le recensioni
Rivincite, rivelazioni, renaissances d’attrici. Una signora sola e quasi sessantenne, un’altra più giovane e sposata, ma con un marito che sarebbe più salutare non avere. La prima si chiama Francesca e vive (eufemismo) a Roma, in una marginalità indotta da eventi esterni e incontrollabili; la seconda, Rosaria, abita “quasi” a Catania, difendendosi dal marito e non solo nel quartiere di Librino che fu costruito negli anni Sessanta, immaginato come avveniristico “satellite” urbano e diventato uno degli angoli più equivoci e malfamati d’Italia.
Che cosa hanno in comune queste due donne? L’essere diventate, non per colpa loro, vittime sociali e aver sedimentato, allo stesso tempo, spiriti pugnaci e voglia di rivalsa. I loro film, entrambi in sala dal 9 novembre, sono L’esodo (durata 104’) di Ciro Formisano qua all’opera prima e Malarazza (durata 98’) di Giovanni Virgilio al suo secondo film dopo La bugia bianca.
A confronto piena maturità e percorso emergente
Bello schermo al femminile. E due attrici protagoniste, rese in qualche modo “comunicanti” dalla combattività dei loro personaggi nel pieno di una discesa agli inferi. L’una, Francesca-Daniela Poggi, per la verità un po’ troppo trascurata fino ad ora nell’insieme delle occasioni cinematografiche; l’altra, Rosaria-Stella Egitto, messinese trentenne già vista nel cast di In guerra per amore di Pif e Un altro mondo di Silvio Muccino (oltre una discreta presenza televisiva). Insomma a confronto la piena maturità e un percorso emergente. Senza competizioni ma con l’osservazione di un felice prospetto di donne in totale risalto umano e narrativo, capaci di risalire la corrente trasformando la loro condizione di vittime in un recupero di dignità e d’identità sociale.
Migliaia di italiani coinvolti nel dramma
Poi, dato che è assolutamente da ripugnare il principio d’accomunare i film per generi e tendenze, varrà la pena di separarne criticamente i tracciati nel rispetto delle loro identità specifiche e dei loro autori. Partendo da L’esodo. Titolo impegnativo. Né Bibbia né Torah, però. Magari meno imponente, senza piaghe, senza Mar Rosso e Sinai ma molto doloroso. Per 360 mila italiani. Parecchi hanno dimenticato o rimosso, non i 6 mila – recita la nota nei titoli di coda - ancora oggi irrisolti nella loro condizione: sono gli “esodati”.
Si fa presto a diventare mendicanti
Francesca è una di loro. La “Leggo Fornero” varata dal Governo Monti nel “Salva-Italia” alla fine del 2011 la spedisce nel limbo dei senza lavoro e senza pensione, costringendola prima all’accasciamento, poi all’indigenza infine all’accattonaggio sotto i portici di Piazza della Repubblica a Roma. Caso limite ed eccentrico, perché nel dignitoso proporsi e vestire “borghesi” ella rappresenta l’antitesi alla mendicanza, la negazione dell’immagine di questuante. Attira curiosità, simpatie e pietà, simboleggia un’inedita povertà tutta italiana. Amicizie fugaci, consigli e sostegni di strada nella realtà tanto nuova quanto umiliante. Perfino una giornalista si interessa a quel caso, rendendolo pubblico: all’inizio inasprendo il disagio di Francesca, più tardi consegnandola al coraggio, alla grinta e alla fiducia acquisite nella sedimentata consapevolezza del proprio status e nella vicinanza solidale e compassionevole della gente.
Una storia elaborata con delicatezza e rispetto
C’è una frase crudele nel film: “La vostra è una generazione ridicola. Avete fatto il 68 e adesso fate la fame”. Francesca ha nascoso a sua nipote, che vive in casa con lei, la scelta di mettersi a chiedere la carità; e quando la ragazza lo scopre ne resta ferita e la ferisce a sua volta così. Queste parole rappresentano forse l’apice drammatico di un film elaborato su storie vere, condotto con delicatezza e rispetto, realistico nel suo contesto, affollato di personaggi con qualche eccesso di coloritura nelle derivazioni di una favola malinconica e grigia, intensamente partecipata nella sua dimensione d’impegno civile. Trovando in Daniela Poggi un’eccellente protagonista, misurata, densa, prosciugata da ogni espansione retorica.
Pestata e violentata da “un uomo da rispettare”
A Malarazza si deve l’acceso ritratto periferico di una particolare deriva catanese. Quella che coinvolge Rosaria nel quartiere degradato e malavitoso del quale il suo orrendo marito Tommasino Malarazza (David Coco) pare essere un emblema mafiogeno, con tutta la sua brutalità, il suo machismo e la sua mancanza di sentimenti. “Uomo da rispettare”, come dicono in certi ambienti. Rosaria lo subisce quotidianamente, pestata e violentata, cercando di proteggere suo figlio Antonino (Antonio Frasca Spada) che finirà tuttavia per sfuggirle di controllo frequentando pessimi compagni e cedendo alla tentazione dello spaccio; cosa della quale, tra l’altro, suo padre va sufficientemente fiero perché la considera l’avvio d’un onorato cammino sulle sue stesse orme.
In fuga da un fratello dolcemente “trans”
Prende il coraggio di madre, Rosaria, quando decide di scappare col figlio in casa di suo fratello Franco (Paolo Briguglia) nel quartiere storico di San Berillo, tra le vecchie case superstiti alle demolizioni operate per sradicarne la delinquenza e adesso frequentate in buona parte da prostitute ed extracomunitari. Franco è un trans e dolcemente accoglie in casa la sorella prima che altre tempeste arrivino a sconvolgere le vite di tutti. Inclusa quella di Rosaria, con esiti inevitabilmente sanguinosi che non le impediranno comunque di cercare altrove, in un Nord della mente, il decoro che le spetta.
Dalla cronaca alla ricerca dell’emozione
Il film sembra mutuare sincerità e onestà dalla sua figura femminile. Costruendo attorno ad essa e alla felicissima recitazione di Stella Egitto un impianto di una certa solidità drammaturgica, pure se a momenti il racconto sembra genericamente sospeso fra l’urgenza di fare cronaca nell’indagine sociale e l’altrettanto plausibile bisogno di dare, a quella “cronaca”, una veste narrativa più avvincente sul piano dell’emozione, non senza il contributo di una valida colonna musicale cui dà voce anche Arisa. Indecisione, peraltro ben difficile da risolvere e sempre centrale nel dibattito sociologico (e psicologico), sulle reciproche influenze attive tra l’incidenza negativa di un ambiente e l’effettiva capacità, da parte dell’uomo, di opporvisi facendo leva sulla volontà e la cultura. Forse non è un caso che la ferocia del signor Malarazza si abbatta sulla moglie quando la sorprende a leggere un libro.
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