L'estrazione mineraria non è tutto, ma senza di essa tutto è nulla

Le parole del celebre fisico, Max Planck, non sono servite a far comprendere ai policymaker di Bruxelles che il bando alla produzione delle auto con motore endotermico, senza un’industria estrattiva in grado di fornire le materie prime alla nascente industria europea delle batterie agli ioni di litio, può provocare la fine di una delle più importanti industrie del Vecchio Continente. La Commissione europea non ha ancora pienamente compreso che, nonostante tutto il nostro sviluppo tecnologico, non siamo ancora andati oltre lo scavo di minerali dalla terra per soddisfare le nostre esigenze.

L’industria contro cui ci apprestiamo a competere, quella cinese, ha, invece, un controllo completo sulla catena di approvvigionamento, realizzato in oltre vent’anni di preparazione, studi ed anche fallimenti, che sono serviti, nel 2015, a lanciare un piano ambizioso per dominare le tecnologie future, chiamato "Made in China 2025", un significativo sforzo voluto dal Partito Comunista Cinese, per separare il paese dalle catene di approvvigionamento globali e sostenere l'innovazione locale. La Cina non è stata benedetta da grandi giacimenti di minerali per batterie: litio, cobalto, nichel, grafite e manganese. Ma ha fatto propria la fase di elaborazione, e pertanto, indipendentemente da dove venga estratto il minerale, deve andare in Cina per diventare un elemento costitutivo della batteria.

Inoltre, come sottolineò Glasenberg, al tempo CEO di Glencore, al margine di un incontro per la fornitura di cobalto all’industria automobilistica europea: «I cinesi non venderanno le batterie al mondo, produrranno le batterie in Cina e venderanno i veicoli elettrici al mondo." Come per il cobalto anche per il litio Pechino ne ha estratto solo una frazione di quello globalmente disponibile, ma ne ha trasformato oltre l'ottanta per cento in batterie, rispetto all'uno per cento degli Stati Uniti. Questo è stato possibile grazie a un ecosistema di compagnie minerarie, statali e private, spesso dei veri e propri colossi come, ad esempio, Ganfeng Lithium, che insieme al suo rivale Tianqi Lithium, hanno contribuito a costruire il dominio della Cina nella catena di fornitura globale delle batterie.

Le strategie sono state molteplici: dall’acquisizione della proprietà di miniere in altri paesi, come quella di Greenbushes in Australia, la più grande miniera di litio del mondo, alle partecipazioni, come nella Sociedad Química y Minera de Chile, SQM, 4 miliardi di dollari per il 24%, agli accordi di offtake, come quelli con Glencore per il cobalto congolese. Ma anche attraverso una realpolitik nei rapporti internazionali, come nel 2020, quando, a seguito della richiesta di un'indagine sulle origini della pandemia di Covid-19 del primo ministro australiano Scott Morrison, Pechino, irritata, pur sospendendo le importazioni di molte materie prime australiane, continuò le importazioni di litio. Il Regno di Mezzo era conscio della dipendenza dell'economia cinese dal litio australiano per diventare un leader nella tecnologia dei veicoli elettrici e quindi mise da parte l’orgoglio nazionale per perseguire i suoi obbiettivi strategici.

Un ulteriore tassello del complesso mosaico che ha portato la Cina a dominare il settore è stata la consapevole scelta, del Partito Comunista Cinese, di mettere in atto un vero e proprio dumping ambientale. A rendere l’Europa un luogo ostile dove aprire nuove miniere sono state le nostre scelte ambientali, spesso imposte proprio da quelle stesse associazioni ambientaliste che, oggi pretendono una transizione verde accelerata mentre, nel contempo, si oppongono fermamente a qualsiasi ipotesi che preveda l’apertura di una miniera "nel proprio giardino". La crescita dell’industria cinese e l’acquisizione di quelle tecnologie che oggi le consentono la posizione di dominio che ricopre hanno anche comportato che la produzione di litio in Cina sia stato il processo con le emissioni di anidride carbonica più intense al mondo. L’industria mineraria dello spodumene, il minerale di litio australiano, comporta che l'estrazione e la frantumazione venga realizzata utilizzando veicoli alimentati a combustibili fossili. Il minerale viene quindi caricato su una nave alimentata a diesel e inviato in Cina, spedito lungo il fiume Yangtze e poi trasportato su camion all'impianto.

L'impianto utilizza energia prodotta mediante carbone: mediamente servono circa due tonnellate di carbone per produrre una tonnellata di litio. Riscaldato a 1.000°C in una caldaia, il minerale, che contiene circa il 6% di litio, viene quindi separato con acido solforico, essiccato, purificato e macinato in una polvere bianca fine, l’idrossido di litio, che miscelato con altri metalli viene utilizzato per produrre le celle delle batterie. Questo, sommariamente, il processo con cui il gigante Ganfeng Lithium realizza l’idrossido di litio, un prodotto ad alta purezza utilizzato nelle batterie più potenti di Tesla e di altri veicoli elettrici.

Una crescita produttiva consentita anche da limitati standard ambientali e di tutela dei lavoratori se, come riporta chi visitava lo stabilimento nei primi anni 2000, vedeva lavoratori che indossavano scarpe senza calzini e guanti di gomma per maneggiare un calderone di cloruro di litio nei torridi mesi estivi. La medesima attività, nella Carolina del Nord, negli USA, veniva realizzata in un edificio climatizzato e l’operatore indossava una tuta protettiva che ricordava quelle spaziali. Aspetti, quelli sulle tutele del lavoro, che ritroviamo nelle pratiche, definite schiavistiche, di Zhejiang Huayou Cobalt, il gigante del cobalto cinese, accusato da Amnesty International di acquistare cobalto da minatori bambini pagati uno o due dollari al giorno.

Perché, se il Congo fornisce da oltre cento anni le risorse di cui abbiamo bisogno, dalla gomma per l'avvento dell'automobile, al rame per i bossoli dei proiettili nella prima guerra mondiale, all'uranio per le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki, nel contempo l'ambientalismo non è riuscito a cambiare le modalità con cui la produzione e l'uso dei beni di consumo deviano i costi ecologici in luoghi come questo. Così ci hanno pensato la Cina ed il gigante minerario svizzero Glencore a prendere il controllo del cobalto che viene estratto per circa il 70% della produzione globale in Congo. L'intera industria delle auto elettriche dipende da dozzine di camion che ogni giorno partono dalle miniere congolesi e, attraverso un tragitto di oltre tremila chilometri nel cuore dell’Africa, arrivano sulle coste del Sud Africa nel porto di Durban dove il minerale, caricato sulle portarinfuse, prende il mare verso la Cina.

Il Dragone controlla anche il mercato del nichel grazie agli storici accordi commerciali tra il gigante dell’acciaio Tsingshan Holding Group ed il governo indonesiano. Accordi che hanno favorito la decisione dell’Indonesia di bandire l’esportazione del minerale di nichel arricchito per incentivare lo sviluppo locale delle gigafactory per l’industria delle batterie. Inoltre la vicinanza politica con Mosca permetterà alla Cina di accogliere il nichel degli impianti siberiani di Norilsk Nickel qualora le sanzioni europee colpissero anche le aziende dell’oligarca russo Vladimir Potanin.

Ma anche quando un metallo è comune, come il manganese, il dodicesimo elemento più abbondante nella crosta terrestre, con una filiera di approvvigionamento che non presenta particolari rischi perché viene estratto in numerosi paesi tra cui Sud Africa, Brasile e Australia, scopriamo che il 90% della capacità globale di produzione di solfato di manganese ad alta purezza è concentrata in Cina. Il manganese è fondamentale nella produzione dei catodi delle batterie, e dozzine di produttori cinesi, che rappresentano la maggior parte della produzione globale, hanno aderito a una campagna sostenuta dal governo cinese per stabilire una "alleanza per l'innovazione del manganese", pianificando la centralizzazione del controllo sulla fornitura dei prodotti chiave, il coordinamento dei prezzi, lo stoccaggio e le reti per l'assistenza finanziaria reciproca: obiettivi e mosse che di fatto costituiscono un cartello.

Ma le batterie, oltre ai catodi hanno anche gli anodi, che vengono realizzati utilizzando la grafite. E oggi, da dovunque provenga la batteria, che sia prodotta in Cina piuttosto che in Giappone o Corea la grafite, naturale o sintetica, proviene solo dal Regno di Mezzo. A mettere tutto insieme ci pensano giganti come Contemporary Amperex Technology, CATL, che con le sue gigafactory fornisce anche le principali case automobilistiche tedesche come Mercedes e BMW. Le sue linee di produzione ronzano di efficienza, si muovono solo i robot Kuka, un’azienda tedesca acquisita dalla cinese Midea Group quasi a simboleggiare il passaggio di consegne della manifattura occidentale. Ma soprattutto serve a comprendere come le gigafactory siano l'opposto delle fabbriche ad alta intensità di manodopera immaginate in Cina. Un segnale inequivocabile del futuro occupazionale per chi teorizza che i posti di lavoro a rischio dell’industria europea dell’automotive potranno essere facilmente convertiti .

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