Economia
March 13 2017
Dal 19 aprile le etichette di latte, yogurt e formaggi avranno qualche informazione in più: dovranno indicare il paese di "mungitura" e il paese in cui il latte è stato confezionato o trasformato. Diventeranno, in altre parole, più trasparenti per i consumatori per i quali sarà più facile intuire l'italianità (che sia un valore o no è un altro discorso) dei prodotti che mettono sul carrello della spesa.
A partire da quella data, quando saranno passati i 3 mesi previsti dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (lo scorso 19 gennaio), entrerà in vigore l'obbligo di introdurre in etichetta l'indicazione dell'origine per i prodotti lattiero-caseari prevista dal decreto attuativo del regolamento Ue 1169/2011, firmato dai ministri delle Politiche agricole, Maurizio Martina, e dello Sviluppo economico, Carlo Calenda.
Le nuove norme si applicheranno al latte vaccino, ovicaprino, bufalino e di altra origine animale e ai derivati, consentendo una maggiore chiarezza sulla provenienza delle materie prime di prodotti come il latte UHT, il burro, lo yogurt, la mozzarella e tutti gli altri latticini. Sono esclusi solo i prodotti Dop e Igp che hanno già disciplinari relativi all’origine e al latte fresco già tracciato.
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Cosa guardare con attenzione
Rispetto al passato, le nuove etichette dovranno indicare in modo chiaro il paese in cui è stato munto il latte e il paese in cui è stato "condizionato o trasformato". Se il latte è stato munto, confezionato e trasformato in Italia, i produttori possono utilizzare la dicitura: "Origine del latte: Italia".
Se invece le fasi di confezionamento e trasformazione avvengono in più paesi, diversi dall’Italia, i produttori possono indicare nell’etichetta: "Latte dei paesi Ue", se munto in uno o più paesi europei; "Latte condizionato o trasformato in paesi Ue", se queste fasi avvengono in uno o più paesi Ue; "Paesi non Ue", se le operazioni avvengono al di fuori dell’Unione europea. Occhio, però, alle trovate del marketing. Il punto, fanno notare alcuni attenti osservatori, non è il rispetto dell’obbligo in sé da parte dei produttori, ma in tutto ciò che si può aggiungere nella confezione per "mascherare" in made in Italy, nel rispetto della normativa, un prodotto che in realtà tutto italiano proprio non è.
Come? È il caso di fiocchi, strisce e coccarde tricolori disegnate nella confezione o della scritta "prodotto in Italia", come ha fatto notare sul blogEtichettopoli il giornalista Attilio Barbieri: riassumendo, una circolare del ministero dello Sviluppo economico (ebbene sì, spesso contano più dei decreti) di inizio febbraio consente ai produttori di utilizzare, in aggiunta a quelle di origine previste dal decreto,
diciture "con significato equivalente purché non ingenerino confusione nel consumatore", come tra l’altro previsto - fa sempre notare Barbieri - dal Codice doganale della Ue, secondo cui le merci sono considerate originarie del paese in cui hanno subito l’ultima trasformazione.
Ecco perché, al di là di quello che evidenza una confezione, è sempre bene andare alla ricerca delle indicazioni obbligatorie.
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Il latte e i suoi derivati si aggiungono così alla lista dei cibi con l’indicazione dell’origine indicata in etichetta. Sono le uova, la frutta e la verdura fresca, il miele, la passata di pomodoro, l’olio extravergine di oliva, il pesce, la carne bovina, la carne di pollo e derivati. Ma non sono pochi i prodotti che troviamo sugli scaffali del supermercato sprovvisti della "carta d'identità".
È il caso dei salumi, della carne di coniglio, della carne trasformata, della frutta e verdura trasformata, dei derivati del pomodoro diversi dalla passata, del concentrato di pomodoro e i sughi pronti, dei derivati dei cereali (pane e pasta) e il riso. Dopo la battaglia del latte, il nuovo fronte per la Coldiretti è l’entrata in vigore dell’obbligo di indicare l’origine del grano impiegato nella pasta. I produttori sono avvertiti.