Cambiano ancora le etichette, in nome della deforestazione. Caos su caos
È un fatto che le nostre scelte d’acquisto hanno un ruolo nella distruzione delle foreste mondiali. Quando scegliamo prodotti che vengono da terreni strappati e boschi e foreste diveniamo in un certo senso complici del loro abbattimento. Si stima che ogni anno il consumo di prodotti legati alla deforestazione, come il caffè, il cacao, la soia, il legno, la gomma, la carne o l’olio di palma, causi l’abbattimento di circa 190mila ettari di aree forestali in tutto il mondo con conseguenze gravi non solo sulla biodiversità ma anche sulle emissioni di anidride carbonica in atmosfera.
Il problema è che non è facile per chi acquista un prodotto risalire al modo e al luogo di produzione. Molto di più potrebbe fare la politica dell’Unione Europea sia facilitando la trasparenza sulle origini dei prodotti sia contrastando di fatto l’importazione e la commercializzazione di tutto ciò che determina l’aumento della deforestazione. Il nuovo piano predisposto dalla Commissione Europea per contrastare la deforestazione nel mondo segna una radicale discontinuità nell’impostazione rispetto alle politiche precedenti e costituisce un primo deciso passo nell’implementazione degli impegni europei presi alla Cop26 di Glasgow di alcune settimane fa.
Il disegno di legge non si limita, come nella legislazione precedente, a vietare la commercializzazione di legno e derivati da parte degli Stati membri. Mira a prevenire l’importazione di vari prodotti, dalla carne bovina all’olio di palma, dalla soia, al legno, al caffè, al cacao e ai derivati quali la pelle, il cioccolato e i mobili, che hanno richiesto una deforestazione in una qualunque delle parti del mondo. Si tratterà poi di una regolamentazione che riguarderà ogni tipo di deforestazione e non soltanto quella illegale. In questo modo si vuole combattere la corruzione: in Paesi ricchi di foreste, come in Brasile, la protezione per legge delle foreste si sta riducendo, segno che i governi stanno cedendo alle pressioni di gruppi interessati ad avere spazi liberi per l’agricoltura e gli allevamenti intensivi.
Una volta in vigore questi provvedimenti richiederanno alle compagnie di provare di volta in volta che i loro prodotti agricoli non sono legati alla deforestazione. Verrà loro richiesta una certificazione che provi che i loro prodotti non hanno causato né deforestazione né degradazione di aree boschive. Per ottenerla sarà previsto perfino l’uso di strumenti satellitari e di geolocalizzazione che renderanno difficile sfuggire ai controlli della legge.
Quello che la Commissione europea prevede è che, grazie a questa nuova regolamentazione, entro il 2030 si risparmieranno più di 70mila ettari all’anno, quelli che di fatto vengono distrutti a causa delle importazioni nel territorio comunitario e i relativi acquisti di 450 milioni di europei. In termini di risparmio di anidride carbonica, ciò significa che verranno immesse in atmosfera almeno 32 milioni di tonnellate di CO2 in meno.
Nel disegno di legge ci sono aspetti da migliorare, per esempio l’esclusione della gomma tra i prodotti sotto regolamentazione. Quello della produzione della gomma è un vero e proprio meccanismo propulsore della deforestazione nel sud-est della Cina, nelle Filippine e nel Vietnam con il 70 per cento di questo prodotto destinato all’industria dei pneumatici. L’Europa preleva una fetta di circa un quarto delle esportazioni, con Germania, Francia, Italia e Spagna che assorbono il 10 per cento della produzione di gomma naturale. Tanto per fare un esempio le piantagioni di gomma a partire dal 2009 hanno distrutto gran parte dei 75mila ettari dello Snoul Wildlife Sanctuary in Cambogia. Hanno fatto le spese di questa deforestazione incontrollata per la produzione di pneumatici animali quali macachi, gibboni e numerose specie di uccelli che hanno visto drasticamente diminuire il loro habitat naturale.
Se da una parte l’Unione Europea ha fatto bene a mettere al bando i prodotti legati alla deforestazione, è anche vero che questo sforzo, per non essere vano, dovrà essere accompagnato da simili iniziative da parte di Stati Uniti e Cina. Occorre intanto aumentare il numero delle foreste protette e poi mettere in atto nuove misure di regolamentazione in questi Paesi.
Al momento, mentre si attende di vedere in atto la nuova regolamentazione, l’Unione Europea è ancora ferma al piano messo in atto in occasione del ventiquattresimo summit G8 di Birmingham del 1988. Si basa sul pacchetto legislativo comunitario cosiddetto Flegt (Forest Law Enforcement Governance and Trade) ed Eutr (European Union Timber Regulation) che si limita a contenere la commercializzazione di legno e derivati illegali, cioè prodotti che contravvengono alle leggi vigenti nei paesi d’origine. Di fatto ora non è difficile far credere che i prodotti soddisfano la legge, soprattutto quando sono il frutto di processi industriali complessi e di complesse intermediazioni commerciali. Per non parlare del fatto che per il consumatore è impossibile risalire alla vera origine di ciò che compra. Il nuovo disegno di legge vuole migliorare questa situazione e includere molti altri prodotti oltre il legno.
Intanto, l’altra buona notizia è l’ impegno alla Cop26 di Glasgow a fermare la deforestazione entro la prossima decade sottoscritto dall’85 per cento delle nazioni, tra le quali quelle che hanno più foreste: Brasile, Cina, Colombia, Congo, Indonesia, Russia e Stati Uniti. La fotografia della situazione attuale è tutt’altro che rassicurante: nel 2020 la perdita delle foreste tropicali primarie era cresciuta del 12 per cento rispetto al 2019. Ciò equivale a emettere il doppio dell’anidride carbonica emessa dalle auto negli Stati Uniti in un anno. Le foreste boreali dell’emisfero nord stanno subendo la lenta ma costante azione distruttrice di tagli e incendi, proprio loro che svolgono un ruolo altrettanto importante trattenendo 190 volte le emissioni globali emesse in un anno. Con la loro perdita viene accelerato lo scioglimento di permafrost e il rilascio di metano in atmosfera. Per avere un’idea di cosa possono fare le foreste bisogna pensare che tutte quelle intatte del mondo hanno assorbito il 28 per cento dell’ anidride carbonica emessa dal 2007 al 2016.
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