Economia
January 24 2023
L’euro sta volando sul dollaro, dopo essere sceso sotto la parità lo scorso settembre. Ieri ha toccato i massimi da nove mesi, raggiungendo quota 1,09 sul biglietto verde. Un recupero di + 13,5% da settembre 2022, quando ci volevano 0.96 dollari per 1 euro. Cosa sta succedendo e cosa significa per l’economia dell’Eurozona e per l’Italia?
A slanciare la valuta europea sono innanzitutto le politiche monetarie delle due Banche centrali di riferimento e le aspettative degli investitori rispetto alla politica monetaria futura. La Federal Reserve ha attuato politiche monetarie più restrittive della Banca Centrale Europea, più velocemente e partendo prima. “La Fed ha annunciato questa svolta nella politica monetaria a novembre 2021 e l’ha attuata a partire dall’inizio del 2022. La Bce è stata più cauta, cominciando dopo (luglio 2022). Ma adesso le aspettative si sono invertite. Il tasso di inflazione statunitense ha toccato il picco e sta diminuendo in modo più sistematico, così come l’inflazione core (quella calcolata senza tenere conto dei beni soggetti a forte volatilità). Quindi l’aspettativa degli investitori americani e internazionali è che in un tempo non molto lontano la Fed interromperà la politica monetaria restrittiva e semmai inizierà a stabilizzare o addirittura ridurre i tassi. Il presidente e i membri dell’Istituto americano negano, ma è l’aspettativa reale e lo si verde anche dal fatto che gli operatori ancorano le loro aspettative su un tasso d’inflazione piuttosto basso” spiega Marcello Messori professore di Economia europea alla Luiss.
In Europa viceversa ci si aspettano ancora rialzi dei tassi e rialzi maggiori, visto che finora la Bce è stata meno aggressiva e visto che si è registrato un rientro dal picco del tasso di inflazione ma l’inflazione core sta crescendo ancora. Anche da Davos la settimana scorsa sono arrivate conferme dirette della volontà di continuare con il rialzo dei tassi da parte della Bce.
“A questo si accompagna un fattore reale. L’area euro ha avuto tassi di crescita nel 2021 e 2022 superiori alle aspettative. La tenuta economica migliore del previsto, nonostante ci sia molta incertezza e instabilità indotta dalla guerra in Ucraina, ha portato ad un maggiore interesse ad investire nell’area. Questo, unito all’aspettativa dei rialzi dei tassi d’interesse (quindi maggiori rendimenti), spiega l’afflusso di risorse finanziarie che sostegno l’euro rispetto al dollaro”, continua Messori. Si aggiungono anche un riaggiustamento fisiologico dopo una discesa eccessiva (dell’euro) e uno slancio di ottimismo dettato dai fondamentali migliori del previsto in Europa (la crisi energetica è stata amministrata e gestita)
“E’ un cammino molto impervio in un contesto molto instabile ed incerto. Il problema vero è come l’Unione Europea possa riacquisire un ruolo importante nei mercati internazionali e fare l’agenda internazionale che è essenziale alla sua crescita interna in una situazione non di conflitto bilaterale ma di ritorno al multilateralismo. L’Europa sta bene nel multilateralismo, nell’apertura dei mercati e nella regolamentazione. Non ci serve un euro debole” continua Messori.
E l’Italia guadagna o perde in questa corsa dell’euro? “Sul breve periodo forse no. Come la Germania è infatti un Paese dell’Unione che ha molto sfruttato la domanda internazionale per crescere. E la domanda internazionale non è incentivata quando c’è un riaprezzamento dell’euro. Nel breve periodo la competitività di prezzo diminuisce. Ma non è concepibile che il mercato europeo (e italiano) fondi la sua crescita sulla domanda esterna. Credo abbia tutte le potenzialità e risorse per continuare con il commercio internazionale, ma per non far dipendere la sua crescita prevalentemente da questo. Deve sviluppare potenzialità di innovazione e crescita autonoma. In questo senso nel medio lungo periodo riapprezzamento dell’euro non è una cattiva notizia. E siccome l’Italia sta bene se l’Europa sta bene, credo sia una buona notizia anche per l’Italia. Importante è che la sfida fondamentale di una nuova politica industriale non venga fatta dai Paesi membri in ordine sparso, ma con una risposta europea comune”, conclude Messori