Economia
June 09 2022
Alla fine i parlamentari europei hanno fatto la loro scelta. E tra la difesa dell’ambiente e le ragioni dell’industria dell’auto, hanno deciso di schierarsi in modo deciso per la prima. Così dal 2035 sarà vietata in Europa la vendita di auto e furgoni alimentati con benzina, gasolio o gpl. Il vecchio, caro motore a scoppio andrà in pensione per lasciare spazio all’auto elettrica. C’è per la verità ancora uno spiraglio per le società automobilistiche, perché i singoli paesi membri potrebbero chiedere delle modifiche per ammorbidire il bando, ma le probabilità di successo sono scarse. E non serve a molto nemmeno il fatto che i parlamentari italiani siano riusciti a far approvare la cosiddetta «norma salva Ferrari», che regala un po' di sicurezza in più alle case automobilistiche sportive.
Non va dimenticato infatti che la proposta della Commissione europea sul blocco delle vendite di motori endotermici approvata dal Parlamento non è arrivata come un fulmine a ciel sereno, ma ha avuto una lunga gestazione. Bruxelles negli anni scorsi doveva per esempio tenere conto del “fronte dei Nove” (Austria, Belgio, Danimarca, Grecia, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Malta e Paesi Bassi) che spingevano affinché le vendite di auto con motore a scoppio venissero vietate già dal 2030. Nel frattempo alcuni Paesi in giro per il mondo avevano stabilito per conto loro una data di stop alle vendite di auto tradizionali: la Norvegia entro il 2025; Regno Unito, Danimarca, India, Islanda, Israele, Svezia, Paesi Bassi entro il 2030; la California entro il 2035. Anche 26 grandi corporation (tra cui Coca Cola, Ikea, Sky, Volvo, Uber e le italiane Enel X e Novamont) hanno trasmesso il 26 aprile 2021 un appello alla Commissione affinché fermasse la vendita di auto inquinanti entro il 2035. Intanto molte case automobilistiche hanno annunciato, anche per conquistare l’interesse dei mercati borsistici abbagliati dalla Tesla, piani ambiziosi di elettrificazione della produzione: entro il 2030, per esempio, Bmw vuol portare al 50 per cento le vendite di auto elettriche, la Volvo e la Fiat al 100 per cento, la Porsche all’80 per cento.
A spingere poi la Commissione verso una decisione così drastica sono i dati sullo smog e su riscaldamento globale. Il trasporto stradale è responsabile di circa un quinto delle emissioni totali di CO2 nell'Ue e negli ultimi tre decenni l'unico settore che ha aumentato le emissioni di gas serra è stato quello dei trasporti, con una crescita del 33,5 per cento. Inoltre al traffico è attribuito il 45% delle emissioni di ossidi di azoto in Europa che provocano il decesso anticipato di circa 70 mila persone ogni anno. Più in generale, l’inquinamento atmosferico (provocato anche da riscaldamento, industrie e allevamenti) è la causa di 400 mila morti premature nel continente. Dove spicca per alta concentrazione di smog la Pianura Padana. Si può discutere sul fatto che sia un po’ troppo facile colpire le auto e non gli allevamenti intensivi o i trasporti di grandi dimensioni, ma è sicuro che anche questi ultimi verranno interessati da nuovi limiti sulle emissioni.
Per i consumatori questo si traduce in un aumento del prezzo della vettura, le auto economiche spariranno e bisognerà tira fuori almeno 20 mila euro per un’utilitaria, almeno nei prossimi anni in cui le auto saranno sempre più ibride. Per l’industria dell’auto nel suo complesso la decisione del Parlamento europeo presenta molti rischi. Le auto elettriche sono costruite con meno pezzi, intere filiere sono a rischio e i componenti chiave come le batterie sono in mano all’Asia. Non solo, tutto questio accade mentre il settore è in forte stress. Come spiega Dario Duse, managing director della società di consulenza globale AlixPartners, «le case europee sono spinte ad accelerare una transizione complessa e costosa a cui si sono aggiunti una serie di shock: il Covid, la carenza di chip, la guerra in Ucraina con lo stop ai cablaggi, l’impennata dei prezzi delle materie prime, nuovi lockdown in Cina, che ha conquistato una posizione di privilegio nell’elettrificazione come ad esempio nelle batterie». Le case avrebbero preferito che l’obiettivo, condiviso, di arrivare alle zero emissioni fosse spostato un po’ più avanti, per esempio al 2040 come suggerito dal ceo della Renault Luca De Meo, e che fosse lasciato agli ingegneri di scegliere quale tecnologia usare: per esempio, se i carburanti sintetici o l’idrogeno verde diventassero economicamente sostenibili, si potrebbero salvare gli stabilimenti e la filiera dei fornitori che producono motori a scoppio o parti di motore.
L’elettrificazione ha dunque un impatto significativo sul settore. Secondo uno studio di Alixpartners in Europa ci sono 137 impianti che si occupano dell’assemblaggio finale di veicoli: 17 di questi dovranno chiudere. Nell’assemblea dell’Anfia, associazione che rappresenta la filiera italiana dell’automotive, del 31 maggio il presidente Paolo Scudieri ha parlato di «schizofrenia mono-tecnologica proposta dalla Commissione» e ha aggiunto: «È innegabile la necessità di dover far fronte ai cambiamenti climatici definendo una roadmap di decarbonizzazione che veda impegnati tutti globalmente, imprese, Governi, cittadini. Tengo a sottolineare che Anfia sostiene e perseguirà sempre gli obiettivi di sostenibilità, ma non possiamo dire che puntare tutto su una sola tecnologia sia la soluzione migliore per affrontare il cambiamento climatico». Secondo Scudieri «il legislatore europeo vuole “dismettere” completamente tutti i prodotti della sua filiera più importante per abbracciare una sola tecnologia, ad oggi di totale dominio asiatico, creando, in questo modo, pericolosi squilibri non solo nel mercato, ma soprattutto in ambito sociale, per il forte impatto sul suo sistema industriale, dove verranno messi a rischio migliaia di posti di lavoro (in Italia ne abbiamo stimati circa 73 mila nei prossimi anni, quelli di chi, ad oggi, lavora solo nella produzione di componenti per veicoli a combustione interna, posti che non saranno compensati dalle circa 6 mila nuove posizioni che creerà la mobilità elettrica)». Uno studio commissionato dalla European Association of Automotive Suppliers (Clepa) ha stimato che il passaggio ai veicoli elettrici potrebbe portare a una perdita di circa 500 mila posti di lavoro nel settore automobilistico in Europa.
Non tutti però sono così pessimisti. «L’Italia è un grande Paese dell’automotive e i suoi imprenditori hanno sempre dimostrato di sapersi adattare rapidamente ai cambiamenti» ha detto De Meo che ha ricordato come in Francia ci si aspetti che l’elettrificazione della mobilità possa creare nel Paese 500 mila nuovi posti di lavoro». Il Boston Consulting Group stima che oltre 580 mila nuovi posti di lavoro verranno creati dal passaggio alla mobilità elettrica direttamente entro il 2030.
Ora si apre una grande sfida per l’industria europea dell’auto che deve investire sulle vetture elettriche, portare nel continente la produzione di componenti fondamentali come le batterie e i cablaggi, stringere alleanze con le società di software. Ma anche gli Stati hanno un compito fondamentale: nel giro di 13 anni devono costruire una rete decente di punti di ricarica per rendere il viaggio con un’auto elettrica comodo come quello con una vettura a benzina. Alixpartners calcola che nel 2030 saranno necessari in Europa 5,5 milioni di stazioni di ricarica contro il milione scarso di adesso. Investimento necessario: 61 miliardi di dollari.