Politica
July 11 2024
Un quarto di secolo di egemonia di Berlino nelle scelte di politica economica, dettate dalla paura della Germania per il mancato pareggio di bilancio, che vive i consumi interni come una sorta di peccato mortale, che pensa appunto al debito come un’offesa a Dio, ci hanno portato a perdere tutti i primati continentali. La fotografia - peraltro impietosa - la offre un’istituzione europea che si ritiene (a torto) al di sopra delle parti: la Bce. Nel suo recentissimo bollettino economico l’Eurotower certifica che tra gli ultimi tre mesi del 2019 e l’analogo periodo del 2023 (dunque durante il periodo del Covid) l’economia dell’eurozona è cresciuta del 3 per cento in termini cumulativi (cioè sommando tutte le sue componenti), mentre il Pil reale degli Stati Uniti è aumentato di oltre l’8 per cento. Significa sì un differenziale di oltre cinque punti, ma vuol dire che l’economia americana ha viaggiato a una velocità più che doppia rispetto a quella denominata in euro.
Al di là delle cifre crude, ciò che conta sono le motivazioni che rivelano come appunto sia la cultura della schuldenbremse a bloccare l’Europa. L’America ha puntato sull’espansione dei consumi interni; ha investito con l’«Inflacton reduction act» 738 miliardi di dollari sull’industria, sostenendo per prima quella dell’auto (di qua dall’Atlantico ci siamo affidati ai cinesi per i veicoli a batteria); ha pompato il risparmio verso i settori produttivi per incrementare l’occupazione. Nel Vecchio continente si è puntato al sussidio dei posti di lavoro e non della produzione, si è scelto l’investimento pubblico mantenendo alta la fiscalità. Il risultato è che gli Usa, pur con alta inflazione, non hanno perso domanda, mentre noi abbiamo ridotto i consumi. La certificazione viene da Findomestic: a giugno ha stimato il record negativo (meno 11,2 per cento) della propensione agli acquisti. Le ragioni più evidenti? La fine del Superbonus e i timori per l’impatto del Green deal sul valore delle case. (c.c.)